INTERVENTO DEL DOTT. GINO RUPERTO
Questo secondo volume dell’amico
Vincenzo Davoli dal titolo identico al primo
— Buone Notizie e Pronta
Risposta
— dedicato ai militari
francavillesi caduti sui vari fronti dell’ultima guerra mondiale che
si è combattuta dal 1940 al
1945
del secolo scorso è una piena
conferma delle sue doti di apprezzabile scrittore, della sua grande
passione per la storia nonché della sua viva curiosità culturale.
Prima però di entrare nel merito e nei contenuti del libro desidero
soffermarmi brevemente sul metodo seguito dall’autore
-. nella rappresentazione dei
protagonisti, dei rispettivi ambiti di provenienza e di tutta la
lunga e drammatica vicenda bellica. Si tratta di un metodo che
abbiamo già avuto modo di conoscere in
occasione
della pubblicazione del suo primo volume dedicato alla grande guerra
del 1915-1918 e che consiste sostanzialmente in una “ricostruzione
storica” di avvenimenti d’interesse e di carattere generali sorretta
però da un impianto originario locale, circoscritto cioè ad un
piccolo paese e ad una piccola comunità di poche migliaia di persone
dove il libro è nato e da dove si è poi sviluppato con un crescendo
di episodi e di particolari strettamente legati gli uni agli altri.
Inizialmente l’autore si muove quindi in questa realtà per dare
l’avvio ai suoi “diari” di una guerra da lui direttamente non
conosciuta ma rivisitata, rivissuta e sofferta con sincera
partecipazione. Vincenzo Davoli riesce anzitutto ad entrare con
passo leggero e con grande discrezione nelle abitazioni dei nostri
protagonisti allo scopo di raccogliere dalla viva voce di qualche
familiare o parente ancora in vita ogni informazione e indicazione
utile per presentare adeguatamente al lettore la figura di ciascun
militare caduto in guerra e il suo ambiente familiare e sociale.
Le abitazioni da lui visitate e anche da me conosciute nell’infanzia
erano case, in maggioranza, molto piccole ed anguste, alcune delle
quali segnate addirittura, almeno allora, da una evidente seppure
dignitosa povertà. L’autore ha cercato in quegli ambienti di
ricostruire la vita molto breve dei caduti attraverso l’esame di
tutta la documentazione rinvenuta (lettere, cartoline, fotografie ed
altre testimonianze) custodita dai parenti nonché attraverso il
colloquio diretto con gli stessi per offrire, come sopra detto, ai
lettori una biografia molto approssimata, e vicina al reale, di
tutti i soggetti interessati. A ciò si deve aggiungere un ulteriore
approfondimento di molti dati raccolti e della situazione, oggetto
di studio, operato da Vincenzo Davoli mediante la consultazione di
ogni singolo foglio matricolare e degli archivi storici Provinciale
e Centrale nonché di quello del Ministero della Difesa.
Un’impresa davvero ardua e meritoria
compiuta dall’autore che ha dato prova ancora una volta della sua
spiccata idoneità per la ricerca nonché per la lettura, la
comprensione e l’intelligenza dei vari testi e documenti esaminati
nei minimi dettagli.
Il quadro iniziale riproduce pertanto essenzialmente il cosiddetto
“lato privato della guerra” a proposito del quale mi piace segnalare
un articolo molto bello, quasi un piccolo saggio, apparso su
Repubblica del 3 luglio u.s. del Prof. Lucio Villari, Ordinario di
Storia Moderna presso l’Università La Sapienza di Roma, che tratta
diffusamente e, aggiungo io, efficacemente del rapporto
cronaca-storia, sempre presente e coesistente a tutte le guerre. Del
nesso cronaca-storia non si può non sottolineare “la contaminazione”
fra le due dimensioni e i due generi, essendo molto sottile,
infatti, il confine che li separa.
Dopo aver rilevato che la ricerca di Vincenzo Davoli affonda le
radici nel “piccolo mondo paesano” occorre ora estendere il nostro
sguardo e la nostra osservazione ai diversi campi dello scacchiere
bellico dove l’autore ci conduce, passo dopo passo, per farci
rivivere con grande commozione i drammatici eventi da lui
mirabilmente evocati.
Non è sfuggita a me, come penso non sia sfuggita ad ogni altro
lettore, l’intensa forza espressiva e descrittiva con cui l’autore
riferisce e riproduce quasi visivamente i vari avvenimenti e le
alterne vicende belliche, dimostrando di possedere la capacità e la
qualità di un ottimo inviato di guerra perché riesce a soffermarsi
con ampiezza di particolari su ogni singola battaglia corredandola
di cartine geografiche e indicando anche la dislocazione delle forze
in campo sia sul fronte libico-egiziano che su quello greco-albanese
per finire alle sconfinate e gelide pianure della Russia.
Della guerra nordafricana abbiamo letto pagine indimenticabili
grazie al modo in cui Davoli ha saputo intrecciare i vari episodi
degli scontri fra l’esercito italo-tedesco e quello britannico e per
come ha saputo soprattutto raccontare nei minimi particolari le
famose tre battaglie di Ei Alamein che io ho potuto confrontare con
la versione orale fornitami in tempi ormai lontani da un
francavillese che ha partecipato personalmente a quegli scontri
riuscendo miracolosamente a sopravvivere. La persona di cui parlo
risponde al nome di Francesco Attisani meglio conosciuto in paese
come “Ciccio del Sergente” deceduto a Roma alcuni anni or sono.
Dalla Libia ci è giunta poi la
bellissima lettera integralmente riportata e commentata dal nostro
autore scritta da Antonio Muzzì, appartenente ad una bella famiglia
della numerosa diaspora francavillese, indirizzata alla madre e
piena di affetto filiale, di amore per la vita e anche di verità e
di rabbia per la situazione di abbandono in cui si trovavano i
nostri militari, i quali, nonostante l’inferiorità numerica dei
mezzi a disposizione e senza alcuna copertura aerea hanno saputo
scrivere una vera pagina di eroismo ad El Alamein.
Dovendo sintetizzare per esigenze di brevità non possiamo non
soffermarci però su uno degli episodi più toccanti, il momento più
intenso e drammatico di tutto il libro, segnato dalla morte in
Russia del povero Peppino Lazzaro all’età di poco più di vent’anni
caduto lungo la riva orientale del “placido Don” un grande fiume
molto celebrato nella Russia sovietica del dopoguerra. L’episodio è
reso particolarmente doloroso dalla circostanza legata alla
contemporanea presenza nello stesso luogo di Antonio Lazzaro
fratello minore, di appena un anno, di Peppino, aggregato alla
stessa compagnia.
I dettagli della tristissima vicenda sono riferiti ampiamente e
icasticamente dall’autore, compreso il momento della scoperta da
parte di Antonio del corpo del fratello sulla neve e del tentativo
di soccorrerlo e istintivamente di rianimarlo attraverso un
abbraccio. Il quadro risulta autenticamente drammatico quando si
pensi soprattutto all’istante in cui i due fratelli sono venuti a
trovarsi soli, sotto la neve e in un paese sconosciuto e molto
distante dal piccolo e stretto vicolo di Francavilla, dove essi sono
nati e vissuti insieme per vent’anni.
Anche a distanza di parecchi decenni risulta davvero difficile
immaginare e ripetere nella memoria la scena straziante di
quell’abbraccio fraterno al quale è poi seguita la sepoltura di
Peppino avvenuta con la partecipazione di Antonio.
Dopo la guerra, ho avuto modo di conoscere bene Antonio e di
apprezzarlo come uomo fortemente legato alla famiglia d’origine e
poi alla propria, di carattere mite e lavoratore instancabile,
particolarmente versato come operaio addetto ai frantoi oleari, un
tempo numerosi in paese e luoghi di frequenti incontri serali e di
allegre conversazioni anche da parte dei giovani che avevamo allora
scarsissime occasioni di svago.
Ho sempre ignorato però la circostanza riferita nel libro che i due
fratelli si trovassero nella stessa
compagnia
sul fronte russo e soltanto oggi mi viene da pensare al tormento che
quest’uomo ha vissuto per tutti gli anni della sua vita con il
ricordo costante rivolto al povero fratello Peppino e alla sua
tragica fine e tutta la vicenda può spiegare forse il carattere
taciturno e molto controllato di Antonio.
Dalla lettura di questo libro si può senz’altro trarre un severo
monito contro la guerra in generale e fare alcune considerazioni, in
particolare, sugli ultimi due conflitti del Novecento che hanno
causato conseguenze disastrose a tutti i popoli d’Europa con
cinquanta milioni di morti. Vale la pena ricordare che dopo la
cessazione delle ostilità nel 1945
soltanto sul fronte
franco-belga tedesco si sono contati alcuni milioni di caduti mentre
oggi i cittadini dei suddetti Stati e tutti gli altri cittadini
europei possono liberamente e agevolmente attraversare quei confini
senza subire alcun controllo doganale a seguito degli accordi di
Schengen sottoscritti da tutti i Paesi membri dell’Unione Europea.
Sul tema della guerra mi è venuto poi in mente che molto tempo fa il
filosofo Norberto Bobbio ha pubblicato un interessante “instant
book” dal titolo “Il problema della guerra e le vie della pace” (Il
Mulino, Bologna 1979) nel quale ha cercato di confutare con
argomentazioni abbastanza convincenti la tesi apparsa allora sulla
stampa italiana e sostenuta con una certa insistenza secondo la
quale era lecito e comprensibile introdurre nel dibattito in corso
una distinzione di ordine etico-politico fra guerra giusta e
ingiusta.
Il filosofo torinese ha sostenuto che la guerra eticamente
giustificabile fosse soltanto quella combattuta per la liberazione
di un popolo aggredito e occupato militarmente e che al di là di
tale ipotesi qualsiasi altro fatto bellico non fosse plausibile.
Pertanto, sempre secondo Bobbio, una distinzione fra guerra giusta e
ingiusta prevalentemente o esclusivamente basata su motivazioni
dialettiche appariva concettualmente “rischiosa” perché poteva
ingenerare nella vasta opinione pubblica meno avvertita, l’erroneo
convincimento che nel farsi della storia e del destino dei popoli la
guerra rappresentasse una componente quasi necessitata e
ineliminabile mentre, per contro, la cultura e la civiltà del mondo
moderno non potevano accogliere una tesi del genere perché le
ragioni degli intellettuali e di tutti gli uomini che fanno cultura
dovevano sempre e comunque essere impegnate a ricercare e sostenere
la via, ancorchè difficile, della pace.
Quando pensiamo poi all’immenso e tragico mosaico della seconda
guerra mondiale, della quale stiamo ora parlando, non possiamo non
ricordare che essa fu voluta, preparata e scatenata da due Stati
— la Germania e l’Italia
— entrambi retti allora da
governi dittatoriali che avevano un preciso scopo imperialistico,
quello di occupare e sottomettere con la violenza e l’intolleranza
tutta l’Europa ad un lungo periodo di oscurantismo e d’inciviltà.
A questo riguardo dobbiamo avere quindi il coraggio di riconoscere
che è stato un bene per il nostro Continente
— e aggiungo per il mondo
intero
— che la guerra si sia
conclusa con la sconfitta del nazifascismo e la vittoria degli
Alleati che ha garantito a tutti noi per diversi decenni una solida
e lunga stabilità democratica e la pace.
Prima di avviarmi alla conclusione penso sia giusto e doveroso per
tutti noi francavillesi rivolgere un ringraziamento sincero all’Ing.
Davoli perché egli, pur non essendo nato a Francavilla, ha saputo
stabilire con il paese, con la sua storia e con tutta la comunità un
rapporto speciale che si è reso evidente e tangibile nella
pubblicazione dei due volumi da lui scritti che hanno sottratto ad
un lungo oblio i nostri caduti nelle due guerre e hanno fatto
parlare non solo in Calabria ma anche a Roma, come stiamo facendo
oggi, della nostra memoria, del nostro passato e dei nostri
sentimenti.
L’Ing. Davoli è diventato ormai da molto tempo cittadino
francavillese per avere sposato l’ottima Prof.ssa Ida De Caria,
presente in sala, che con la sua sensibilità culturale è stata ed è
sempre vicina al marito per sostenerlo non solo moralmente ma anche
concretamente nelle sue ricerche e nelle sue fatiche letterarie che
continueranno a dare, ne sono certo, ulteriori frutti.
Vi prego di scusarmi per la lunghezza del mio intervento dovuto al
fatto che le vicende narrate nel libro mi hanno notevolmente
commosso e coinvolto perché per ragioni di età ho avuto la
possibilità di conoscere di persona quasi tutti i nostri caduti e in
modo particolare Bruno Attisani, Vincenzo Attisani, Peppino Lazzaro,
Battista Limardi e Vincenzo Trimini dei quali ho ancora viva memoria
della loro giovinezza e dei loro volti sorridenti.
Il sacrificio dei nostri cari
concittadini che stiamo ora ricordando non è stato però inutile. Il
loro sacrificio, unitamente a quello di decine, di centinaia di
migliaia di altri militari italiani caduti per la Patria e unito
anche a quello dell’intera popolazione civile che ha patito le
sofferenze indescrivibili e i lutti di una guerra molto lunga e
devastante ha consentito al nostro Paese di fare criticamente i
conti con la propria storia e di ricostruirsi e rinascere nella
libertà e nella democrazia.
Per concludere, desidero dire al nostro bravo e dinamico Assessore
Pino Pungitore, artefice di questa bella manifestazione, che
anch’egli con il suo attuale incarico e con quelli che certamente
sarà chiamato a ricoprire in un prossimo futuro, sta portando un po’
in alto il nome di Francavilla e desidero inoltre raccomandargli di
organizzare se e quando possibile un incontro come questo per la
presentazione di almeno alcune delle opere più significative e
rappresentative del nostro concittadino e caro amico Prof. Antonio
Barbina che nell’attuale panorama culturale italiano ha conseguito
una ragguardevole posizione.
Vi ringrazio della Vs. cortese attenzione
Roma, 23 novembre
2012
DOTT. GINO RUPERTO
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