Riflessioni di lorenzo malta sul volume II dell’opera di vincenzo davoli
Ho avuto il privilegio di ricevere in anteprima da Vincenzo Davoli il suo nuovo lavoro dedicato ai Caduti francavillesi nella Seconda guerra mondiale, e devo confessare che il suo contenuto mi ha commosso stimolandomi a ripetute letture. Sono passati più di 50 anni dall’epilogo di quell’immane tragedia, ma alcune ferite prodotte da essa ancora rimangono fresche e sanguinanti restie a cicatrizzarsi non ostante il decorso del tempo. Le cicatrici, si sa, non toccano solo il corpo ma anche l’animo ed io ho avuto modo di conoscere francavillesi, che purtroppo oggi non ci sono più, i quali hanno vissuto il dramma della perdita in quel conflitto di persone a loro care. Leggendo le pagine del Davoli la mia memoria recupera le parole quasi dimenticate di mia madre, donna semplice che aveva vissuto quel terribile evento: “Non tornarono tutti “ripeteva a noi figli che ci riunivamo intorno al braciere nelle fredde serate d’inverno. Ella, persona dalla memoria viva, (i suoi racconti ci facevano sapere dei rimbombi dell’artiglieria tedesca dislocata a Bonì, degli scampati di Montecassino arrivati affamati a Francavilla e dei bagliori delle bombe sganciate dagli Alleati all’Angitola ) conosceva tutti quei poveri soldati che non fecero più ritorno in paese. Di ogni famiglia di quegli sfortunati circostanziava il dramma, la deludente attesa, la rinnovata speranza ed infine la straziante comunicazione del decesso da parte dei militi della caserma di Filadelfia. Il lavoro del Davoli condotto con il solito impegno e passione vede la luce, guarda caso, in un periodo di profonda crisi economica che ci induce a riconsiderare quei valori umani assoluti che oggi sono stati relegati come in una sorta di cestino informatico. La morte di un milite, pur avvenendo nel contesto di una guerra discutibile o non condivisa, è sempre un estremo sacrificio per qualcosa in cui si è creduto o a cui si è chiesto di ubbidire senza se e senza ma. Sulle differenze tra le due guerre mondiali ci sarebbe molto da scrivere; in sintesi diciamo solo che la Grande Guerra vittoriosa metteva fine al processo Risorgimentale e configurava la Nazione nei suoi confini naturali e tradizionali, la Seconda invece scaturiva dall’ insano progetto dell’annessione della cosiddetta “quarta sponda”disegnato dal nostro duce (“allunghiamo lo stivale fino all ‘Africa orientale” cantavano i balilla nelle scuole) il quale legando successivamente il destino del nostro Paese a quello della Germania hitleriana oltre all’onta della resa e della guerra civile procurava la catastrofe generale. Se i caduti della prima guerra mondiale poterono essere considerati “eroi” quelli della seconda furono semplicemente caduti non ostante non mancarono episodi ardimentosi. Giustamente Davoli si tiene lontano da discorsi morali, etici e politici su questa guerra, la sua rotta è quella di ricostruire le biografie dei caduti di Francavilla, chiudendo in un certo senso il cerchio che aveva aperto con il suo precedente lavoro, I due preziosi volumi accomunano, pur nelle diverse modalità sopra evidenziate tutte le giovani vite dei francavillesi spezzate nel corso di quegli eventi. L’opera del Davoli è onesta e si allinea a quella moderna interpretazione della storia che non vive solo delle gesta dei Generali ma anche del sacrificio degli uomini comuni, come quelli della Folgore ad El Alamein o dell’Acqui a Corfu’ e Cefalonia etc etc. Nel teatro delle vicende umane ognuno ha un compito diverso e complementare, sia esso da protagonista o da semplice comparsa; e sulla bilancia della storia alla fine il sacrificio del soldato pesa più dell’azione di un graduato. Esprimendo il mio modesto commento sulla rivista vibonese “Il Monteleone”, in merito al primo lavoro del Davoli dedicato ai Francavillesi caduti durante la Prima Guerra mondiale, concludevo l’intervento incoraggiando l’autore a dare seguito all’opera onorando, per un senso di giustizia anche quei militi Francavillesi periti nella Seconda Guerra . Scoprii che l’autore stava già lavorando al progetto, ma il continuo rinvenimento di preziose fonti (come un sito internet tedesco)e di materiale e notizie inedite, che avrebbero ulteriormente arricchito di particolari le biografie dei protagonisti mettevano il progetto in progress; alla fine l’attesa giustificata, come dicevamo, da un senso di maggiore completezza terminava. Usciva finalmente il secondo lavoro che come ho detto mi fu consegnato dall’autore in anteprima. Sconcerta positivamente la ricostruzione accuratissima che Davoli fa delle singole vite di quegli uomini mandati a morire in paesi lontani, alcuni dei quali poi da un punto di vista paesaggistico assomigliavano molto alla loro terra natia. La ricostruzione biografica di ogni caduto da parte dell’autore inizia dall’ambiente sociale nel quale esso nasce e cresce, inquadra il contesto familiare, e ove possibile è arricchito da numerosi racconti di vita ordinaria e semplice (quale l’istruzione o la professione quasi sempre legata alla terra o il matrimonio) alla fine è relegato, ma ampiamente sviluppato, l’aspetto biografico più drammatico, quello che costituisce il vero tema portante dell’opera: esso richiama le stazioni della “via crucis” del soldato che ha inizio con la chiamata, prosegue con la partenza al fronte e si chiude col sacrificio e la notifica del decesso ai familiari sempre che esso sia stato appurato con certezza . Nella ricostruzione di questi particolari Davoli s’è molto giovato del ricordo ancora vivo da parte dei congiunti di questi sfortunati francavillesi, aspetto questo che per ragioni cronologiche è mancato per alcuni caduti della Grande guerra. Dalle pagine del Davoli emerge tutta l’umanità del soldato che porta con sé le sue paure , le ansie, i timori e lo sconforto; per lui il nemico non è solo il soldato inglese, greco o sovietico, ma il freddo che congela, il fango che impantana. Egli nella sua modestia e talvolta ignoranza certamente si sarà chiesto :“perché questa guerra?” Da ogni racconto escono una gran varietà di dettagli e particolari oggi ignorati dalle giovani generazioni francavillesi, come il rituale della partenza del soldato, il quale partito a piedi dal paese per la locale stazione ferroviaria, si fermava presso la cosiddetta “cerza d’Aracri” punto che “dell’ultimo mirare il guardo esclude” e da lì mandava il suo saluto finale ai familiari poiché, oltrepassato quell’albero, la sua sagoma scompariva per sempre; ed ancora la visita del partente alla Madonna delle Grazie ed a San Foca, o la riunione a pranzo di tutta la famiglia prima della sua separazione, una delle poche occasioni in cui si mangiava la carne in paese ed ancora l’allestimento in fretta e in furia del cosiddetto matrimonio di guerra del richiamato. Sui meriti del Davoli ho già detto molto in passato, la sua è stata una ricerca seria ed appassionata forse un po’ scomoda perche l’argomento trattato riapriva le ferite di chi quel dolore lo aveva stipato nel proprio intimo per lunghi anni ed ora doveva rievocarlo all’attento ricercatore .Quella del Davoli non è fredda cronaca, perché la storia si può ricostruire con l’impegno e la passione ma qui l’autore mette il cuore, il sentimento e le sue pagine si aprono e ci parlano della tragedia di persone semplici e modeste. Vi è un processo di umanizzazione nell’opera del Davoli il quale ribalta il rapporto Guerra-Uomo in Uomo —Guerra perché quest’ultima è messa sullo sfondo e a primeggiare sono le vicende di quei francavillesi che forse non si erano mai allontanati dal paese e che ora si ritrovano smarriti in fronti lontani e sconosciuti. Non si pensi che il lavoro del Davoli sia stato facile, egli ha dovuto indagare molto e con metodo scientifico soprattutto per la ricostruzione delle biografie di quei caduti le cui vicissitudini erano intrise di notizie contrastanti; alla fine però l’autore caparbiamente è riuscito a dissipare questi dubbi che scaturivano dalle evidenti discordanze tra le scarne ed incomplete comunicazioni ufficiali degli organismi di guerra del tempo e le voci arrivate in paese chissà con quale modalità. Quello che conta è che egli ha incastonato i tasselli di ogni storia e noi oggi possiamo apprendere il drammatico racconto del sacrificio di quei poveri soldati francavillesi. li lavoro del Davoli apre e chiude un capitolo triste vissuto da ogni paese d’Italia e grazie a lui oggi Francavilla può vantarsi a ragione di aver reso imperituro non solo il nome dei suoi caduti ma pure le circostanze in cui essi perirono. I paesi oggi più che mai hanno bisogno di riscoprire queste pagine dolorose e se il tempo ne ha affievolito il ricordo l’opera dell’amico ingegnere contribuisce a richiamare il rispetto e la gratitudine. Chi leggerà questo lavoro del Davoli disprezzerà ancor di più la guerra -e qui mi ritornano ancora in mente le parole di mia madre che ci esortava a non invocare mai la guerra come soluzione dei problemi. Si poteva scrivere ancora altro su questa nuova pubblicazione del Davoli, tuttavia prima di concludere questo mio breve ma sentito intervento mi preme ribadire che a questa opera andrebbe tributato l’universale apprezzamento da parte dell’intera comunità francavillese dispersa nel mondo perché il risultato finale costituisce un patrimonio di tutti, un monumento alla memoria ed è pure la dimostrazione che anche in tempi di un generale decadimento morale e di un locale assopimento delle attività culturali c’è chi in silenzio e con passione si muove per dare un segnale di vivacità. 16 DICEMBRE
2012
LORENZO MALTA
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