Benvenuti nel sito di Giuseppe Pungitore, dell'ing. Vincenzo Davoli, di Mimmo Aracri ed Antonio Limardi, punto d'incontro dei navigatori cibernetici che vogliono conoscere la storia del nostro meraviglioso paese, ricco di cultura e di tradizioni: in un viaggio nel tempo nei ruderi medioevali. Nella costruzione del sito, gli elementi che ci hanno spinto sono state la passione per il nostro paese e la volontà di farlo conoscere anche a chi è lontano, ripercorrendo le sue antiche strade.

RELAZIONE   DEL DOTT.   FELICE  MUSCAGLIONE

Direttore  del  mensile “monteleone”

Ringrazio L’ing. Davoli per avermi coinvolto in questa importante iniziativa dovuta alla presentazione del suo pregevole lavoro, quasi del tutto inedito, attraverso il quale ha riportato a nuova vita eroi di Francavilla caduti nel primo conflitto mondiale, tra cui il Tenente Limardi Foca e l’Aspirante Ufficiale Servelli Domenico.

Si tratta di una esaltante pagina di storia che coinvolge direttamente non solo la comunità di Francavilla, ma l’intera Comunità vibonese e calabrese.

Parliamo della gloriosa e tragica Grande Guerra o Guerra Europea come fu chiamata ufficialmente allora; ma, personalmente preferisco ricordarla come la quarta e ultima guerra d’Indipendenza per la libertà e l’unità d’Italia.

Unità d’Italia che costò la vita ad oltre 600.000 giovani, di cui 20.000  Calabresi e tra questi 2.500 ragazzi appartenenti all’intera area territoriale vibonese.

Giovani, in gran parte, consapevoli di doversi sacrificare, di dover donare la propria esistenza, per contribuire a realizzare quel sogno di libertà ereditato dai loro padri e forgiato nelle loro coscienze sin dall’adolescenza dai loro maestri e poi dai professori negli Istituti superiori, insegnanti questi, che direttamente o indirettamente vissero il periodo risorgimentale.

Tra queste Scuole - ricordiamo i prestigiosi nonchè storici Licei di Monteleone “Gaetano Filangieri e il “Pasquale Galluppi” di Catanzaro tra i cui banchi si formarono centinaia di giovani - molti dei quali – con i gradi di Ufficiali - moriranno sulle tragiche montagne del Trentino e sulle rive del Piave e dell’Isonzo.

Partimmo - con parecchi miei amici di liceo dalla Terravecchia, con le carrozzelle, per raggiungere la stazione di Porto Santa Venere – al canto di Addio mia bella addio...”. (inno risorgimentale). Scriveva nel suo diario il Sottotenente Pasquale Sarlo di Francica, 19 anni. Caduto.

 E, l’amore profondo, immenso, genuino, che questi: Eroi della Magna Grecia - nutrivano per la Patria – risalta dai diari e dalle lettere che frequentemente spedivano ai loro familiari e che ricercatori come l’ingegner Davoli e pochi altri stiamo lentamente e con sacrifici personali, riportando alla luce.

Altissimo era – dunque – l’entusiasmo e la convinzione del sacrificio anche estremo dimostrati da questi giovani nell’adempimento del loro dovere.

Domenico Servelli, 25 anni, Aspirante Ufficiale, scriveva dalla zona di guerra ad un proprio congiunto: A che serve la vita, caro zio, senza idealità? E quale più sublime idealità di quella che ispira questa nostra guerra di redenzione e di civiltà?

Frasi straordinarie ed emozionanti che in questi nostri tempi - senza identità - nemmeno si pensano - non si leggono e non si ascoltano più.

Un’altra forte e significativa testimonianza di amor di Patria ce la trasmette Nazareno Cremona, il Capitano di Giuseppe Ungaretti, tre medaglie di argento - 25 anni, di Monteleone compagno di scuola di Domenico Servelli e Foca Limardi, “Era un giovane biondo – ricorda Giuseppe Ungaretti – bellissimo, alto quasi due metri, faceva parte del mio Reggimento e morì schiantato sul Carso.

Nazareno Cremona dalla trincea scriveva alla madre: Le condizioni dello spirito sono quelle di quanti figli d’Italia siamo qui a combattere per la sua grandezza. Il nemico è forte, ma vi assicuro che noi siamo molto, ma molto più forti, e la forza l’attingiamo dalla coscienza della causa per la quale combattiamo.

Frasi, queste, che possono nascere solo dal profondo di un animo gonfio – traboccante – di principi e di valori.

Nazzareno Cremona cadde in trincea, ucciso con un colpo al cuore da un cecchino austriaco nell’agosto del 1917. Giuseppe Ungaretti gli chiuse gli occhi.

E la “causa” per la quale lasciarono la loro giovane vita lungo i seicento chilometri di trincea – tra la neve e il fango – la fame e la sete - era, dunque, la liberazione delle terre italiane dall’esercito austro-ungarico.

La causa dell’unità d’Italia – fu il motore trainante, la forza sovrumana, che animò un esercito - composto da contadini - operai e studenti – soldatini quasi improvvisati – che dopo quattro lunghi anni di sanguinose battaglie - riuscirà a sopraffare l’esercito considerato tra i più forti e organizzato dell’Europa e del mondo.

 L’idea dell’unità d’Italia prende corpo nello storico proclama di Rimini nel 1815 di Gioacchino Murat:  Italiani l’ora è venuta… la provvidenza vi chiama ad essere una nazione indipendente dalle Alpi alla Sicilia.

Appello recepito e raccolto dal nostro Michele Morelli, Guglielmo Pepe, e successivamente da figure di grande ingegno come il filosofo Francesco Fiorentino di Sambiase, Francesco Protettì e Luigi Bruzzano di Monteleone, Andrea Cefalì di Cortale, Enrico Simonetti di Francavilla: figlio di Onofrio illustre professore nel Liceo Filangieri; da Domenico Angherà sacerdote di Potenzoni e fervente carbonaro; dal leggendario generale garibaldino Francesco Stocco di Decollatura, da Benedetto Musolino di Pizzo fondatore della setta carbonara dei “Figliuoli della giovane Italia” e amico fraterno di Luigi Settembrini il quale lo definì: Un giovane calabrese di Pizzo, di molto ingegno, ma pieno di strani disegni arditi”.

Difatti, il vulcanico Musolino meditava di cacciare dall’Italia i Borboni, gli Austriaci, il papa, finanche i Francesi dalla Corsica e gli Inglesi da Malta.

Ebbene, i Borboni furono cacciati dal loro regno, da Giuseppe Garibaldi e dai garibaldini e nel 1870 Roma fu annessa al Regno ma la parte orientale dell’Italia settentrionale restava ancora sotto il dominio dell’impero austro-ungarico la cui presenza nel suolo italico rappresentava una continua e seria minaccia alla libertà del popolo italiano.

Pensate, subito dopo il terremoto del 28 dicembre 1908 – che aveva raso completamente al suolo le città di Reggio e Messina e rovinato moltissimi paesi siciliani e calabresi – avevano progettato di invadere attraverso la Pianura Padana il resto dell’Italia approfittando del caos che il terrificante sisma aveva provocato e dal fatto che una buona parte dell’esercito e della Marina erano impegnati a togliere da sotto le macerie centinaia di migliaia di cadaveri e di sepolti vivi. A Reggio rimasero sotto le macerie oltre 15.000 persone – a Messina i morti furono 80.000.

Ritorniamo un po’ indietro nel tempo

Dopo il 1861 le numerose sette carbonare si sciolsero e molti degli affiliati confluirono nelle Associazioni Massoniche presenti in tutto il vibonese e sull’intero territorio calabrese. A Vibo esisteva sul finire del 1800 “l’Antica Vibonese” - a Pizzo la “Benedetto Musolino” - a Filadelfia la “Serrao” – a Mileto la “Giuseppe Mazzini” – Nicotera la “Bruno Vinci”, e tante altre. Ed è proprio in queste Logge che prende consistenza l’idea di liberare quella parte d’Italia ancora in mano austriaca, idea che poi si concretizzerà il 24 maggio 1915 con la dichiarazione di guerra da parte del Governo italiano all’impero austro- ungarico.

Curioso di capire come i calabresi reagirono all’entrata dell’Italia in guerra, ho fatto delle ricerche che mi hanno lasciato un po’ sbigottito e meravigliato - poichè immaginavo una reazione - pacata, quasi spenta, condizionata dalle preoccupazioni, dalla paura, dall’incertezza del conflitto, perchè dovevamo combattere contro una delle più grandi potenze militare d’Europa.

Ebbene, appena i giornali nazionali e calabresi, annunciarono l’entrata dell’Italia in guerra, in quasi tutti i paesi della nostra Calabria i giovani scesero in piazza con bandiere e bande musicali.

Da Castrovillari a Reggio Calabria – da Crotone a Catanzaro - nelle sale dei teatri - e nei circoli si organizzavano dibattiti, conferenze, raccolte di fondi da destinare alle famiglie dei richiamati; le sale traboccavano di patrioti e le pareti erano tappezzate con bandiere tricolori e striscioni con la scritta: Viva l’Italia.

La mobilitazione fu generale.

Moltissimi giovani calabresi si offrirono volontari e tra questi anche molti studenti universitari iscritti alle Logge Massoniche del proprio paese.

Vincenzo Davoli – nel suo volume riporta che il Tenente Foca Limardi faceva parte della Loggia “Serrao” di Filadelfia, come pure faceva parte della stessa Loggia Natale Apostoliti, Ufficiale del 48° Reggimento – studente del Filangieri” di Monteleone - caduto anch’egli da eroe sul Monte San Michele nel 1915.

Evito di proseguire - perchè si tratta di citare decine e decine di nomi –

Ed il tempo non ce lo consente - anche se questo elenco rappresenta una straordinaria pagina di storia inedita che ci appartiene direttamente.

Però, non posso non ricordare la nobile figura del Tenente Gioia Gennaro, medaglia di argento, componente della Loggia massonica “Antica Vibonese” di Monteleone, esempio di grande patriottismo e di grande onestà morale.

Allo scoppio della guerra, svolgeva l’attività di Giudice nel Palazzo di Giustizia di Cosenza. Ebbene, lasciò questo importante e tranquillo incarico – che lo avrebbe certamente salvato dalla morte - per andare a combattere in trincea – in prima linea - in difesa della sua Patria.

Gioia Gennaro  fu ucciso ai piedi del tragico Monte San Michele.

Faceva parte del glorioso 141° di Fanteria – Reggimento formato a Catanzaro.

E in questo tripudio generale con scene – che la nostra generazione ha solo visto nel film “Cuore” - da Monteleone, dove avevano sede - il 18 giugno del 1915 - partivano per la zona di guerra i Reggimenti del 19° e del 20° Fanteria – accompagnati alla stazione da una folla straripante al suono di inni risorgimentali eseguiti dalla locale banda musicale dell’Orfanotrofio Provinciale.

A Cosenza si formò il 142° Reggimento di Fanteria – anche in questa città si verificarono le stesse scene dominate da un incommensurabile entusiasmo patriottico.

Le stesse manifestazioni si ripetevano a Reggio e a Crotone.

Ma, purtroppo, questi giovani, una volta arrivati in trincea iniziarono a patire, come si suol dire: le pene dell’inferno.

“Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie! Scriveva Giuseppe Ungaretti, il quale ha vissuto direttamente le atrocità, le sofferenze, i lutti, le lacrime, le sciagure, le tragedie che questa guerra ha prodotto.

Pensate, quando il Sindaco del paese comunicava ad una famiglia l’avvenuta morte del loro congiunto che cosa succedeva in quella casa.

 

 E ritorniamo in trincea dove morire era come respirare.

 Un soldato appuntava nel suo diario: … dormo nel fango, tra il fango, col fango, mangio e bevo misto al fango, respiro fango, la mia pelle e le mie ossa sono infangate.

Don Carmelo Cortese di Tropea, sopravvissuto - Cappellano, nell’Ospedale Militare di Sdraussina, scriveva: “… Portano dalle linee nostre un morto puzzolente, pieno di vermi, era l’aiutante di campo della brigata. Lo conosciamo dalla stelletta d’oro che porta nel braccio. Povera giovinezza spenta… Lo adagiamo in un baracchino e lo spargiamo di creolina… alcuni soldati protestano perché manda troppo cattivo odore.”

Poi, ancora: “Una granata uccide un artigliere che io benedico nella camera mortuaria del camposantino di Sdraussina. Dio come era ridotto: il cranio senza cervello, era fracassato come un vaso di argilla. Che sguardo amaro negli occhi aperti!”.

E come non ricordare - in questa importante circostanza - il Capitano Medico Leoluca Chiaravalloti – 32 anni - Medaglia di Argento – di Pizzo - docente universitario e alunno del grande Antonino Anile – colpito da una scheggia di granata mentre curava - non curante del pericolo - i suoi malati nell’Ospedale di Sant’Osvaldo di Udine.

Antonino Anile, scriveva nella lettera di solidarietà inviata alla famiglia, tra l’altro: “E così che, senza alcun dubbio, dell’opera sua sarebbe venuto onore alla nostra scienza e vantaggio non lieve al paese natio, che ora lo piange”.

E Filippo Posca – medaglia di argento – cannoniere scelto - di Pizzo – caduto – pensate - non in una battaglia navale -  ma sulle rive del Piave nel mese di luglio del 1918.

Questo è un episodio inedito – sconosciuto – che arricchirà di nuovi particolari questa tragica guerra – nessuno poteva mai immaginare che anche i marinai – per salvare l’Italia - combatterono a fianco dell’esercito sulle Montagne del Trentino.

Questo particolare sarà trattato sul mensile del “Monteleone”, il prossimo mese dall’Ammiraglio della Marina Italiana Michele Piro.   

E che dire poi della strage inumana - compiuta con i gas sul Monte San Michele il 29 giugno 1916, dagli austriaci – nella quale oltre 4.000 poveri soldati dal sonno passarono direttamente alla morte; - tra questi – non videro più la luce del sole di quella tragica alba anche 45 fanti del vibonese, tra cui il francavillese Antonino Condello di 21 anni, biografia costruita e riportata dall’amico Davoli in questo suo prezioso volume.

Altri 3.000 giovani moriranno successivamente negli Ospedaletti da Campo tra atroci e indescrivibili sofferenza.

E, ritorniamo a Pasqualino Sarlo, 19 anni, appena diplomato nel Liceo di Monteleone, prima di morire scrisse: “E chi di noi pensava alla morte!”.

Pasqualino faceva parte dell’esercito dei ragazzini nati nel 1899

e chiamati alle armi dopo la tragica sconfitta di Caporetto come ultima forza per tentare di arrestare sulle rive del Piave l’esercito austro-ungarico che si apprestava ad invadere la pianura Padana. Per l’Italia e per gli italiani sarebbe stata la fine.

Ebbene, questi piccoli eroi - che il Carducci definì: “I ragazzini del ’99 – La classe dei Fanciulli che lasciò scuola e trastulli e imbracciò lieta il fucile” – determinarono la grande vittoria del 4 novembre del 1918.

Ho voluto ricordare, così, solo una piccola parte di una storia che ci appartiene - ancora da scoprire – motivato dall’idea che per vivere e capire bene il presente e per programmare il futuro occorre sempre attingere al passato.

Caro Ingegnere Davoli, io, qualche tempo fa - di questo pezzo di storia ancora più sconosciuta – ne ho scavato le fondamenta, adesso tu – con il tuo ben fatto lavoro hai iniziato la costruzione dell’edificio.

Affrettiamoci a terminarlo perché questi 2.500 giovani aspettano – ancora – dopo quasi un secolo – di essere posti dignitosamente tra le pagine della grande storia – della storia che ci appartiene – perché ricordarli significa donargli quello che si meritano: l’immortalità. 

 

7-12-2008                                                                                                                 DOTT.   FELICE  MUSCAGLIONE

 

TORNA ALLA PAGINA

Per maggiori informazioni scrivere a: phocas@francavillaangitola.com

Google