Benvenuti nel sito di Giuseppe Pungitore, dell'ing. Vincenzo Davoli, di Mimmo Aracri ed Antonio Limardi, punto d'incontro dei navigatori cibernetici che vogliono conoscere la storia del nostro meraviglioso paese, ricco di cultura e di tradizioni: in un viaggio nel tempo nei ruderi medioevali. Nella costruzione del sito, gli elementi che ci hanno spinto sono state la passione per il nostro paese e la volontà di farlo conoscere anche a chi è lontano, ripercorrendo le sue antiche strade.

 

Da      " BREVI RACCONTI FRANCAVILLESI "

di Lorenzo Malta

                        UNO STRANO ATTENTATO

"Accomodati ti stavo aspettando "mi dice don Foca tutto premuroso e dai suoi occhi luccicanti traspare la gioia di chi attendeva questo momento per uscire dai soliti schemi di una tipica giornata francavillese. La monotonia logora soprattutto chi ha vissuto una vita intensa e la possibilità di rituffarsi nel tempo per recuperare uno dei tanti ricordi della giovinezza risveglia per un attimo l'entusiasmo sopito . "Prendi la penna e scrivi" mi dice e pacatamente inizia il suo racconto.

Fortunatamente ho vissuto il periodo fascista nell'età dell'incoscienza, non sapevo cosa fosse o volesse, ma ho subìto sulla mia pelle le amare conseguenze che esso aveva provocato nella Nazione e di riflesso nel nostro piccolo paese. Nemmeno da adulto ho nutrito simpatie per il partito politico che nel dopoguerra ne aveva ripreso i contenuti e oggi posso dire di aver conosciuto tutte le accezioni della democrazia troppo poca allora, eccessiva oggi.

La Francavilla del Ventennio si adeguò presto al modello di vita imposto in quegli anni : libertà limitate e sacrifici diffusi. II nuovo corso aveva avuto una crescita progressiva di consensi, pochissimi francavillesi, si potevano contare sulle dita di una mano, non si erano allineati al fascismo ma guai a manifestarlo avrebbe voluto dire il confino a vita, oltre alle manganellate delle nostrane guardie della rivoluzione.

Da noi fece tutto la borghesia , o meglio i professionisti figli dei proprietari terrieri furono essi che l'incensarono al principio, lo santificarono quando arrivò al potere e lo rinnegarono quando la guerra e la fame avevano portato il Paese alla rovina. Fu triste ed amaro il periodo fascista a Francavilla, il paese era piccolo ci conoscevamo tutti potevamo vivere tranquillamente, ma si verificarono episodi crudi e crudeli, che adesso non voglio ricordare per non riaprire ferite e risentimenti, dico solamente che alcuni furono vergognosi e disumani.

Ogni podestà che si alternò nel governo del paese potè contare su un manipolo ristretto di fedelissimi pronti ad agire nel nome di una giustizia sociale modellata su criteri personali e velocemente mutevoli.

E poi in alto tutti sapete chi c'era. C'era lui ! II duce, poco mancò che nelle nostre chiese non fosse venerato come un santo, dal momento che il nuovo calendario contava più celebrazioni di ricorrenze fasciste che religiose e proprio da una di esse prende spunto questo racconto.

Era il 1931 quando Arnaldo Mussolini , fratello minore del duce morì a Milano, ebbe un funerale degno di un capo di stato e in Italia fu lutto nazionale.

Per la circostanza il nostro podestà volle strafare e a ricordo di quella triste data e di quel nome eccellente con una cerimonia pubblica solenne pose una targhetta commemorativa nel cosiddetto "orticello di guerra" . "Ad Arnaldo Mussolini nato a ... e morto a..." essa citava.

Quel terreno, che i francavillesi oggi ignorano dove sia, fu curato, recintato e la lamina fu fissata bene in vista sulla testa di un paletto .

Fin qui niente di male, ma chi avrebbe immaginato che quella semplice targhetta avrebbe fatto scoppiare il putiferio nel nostro pacifico paese? Tutto ebbe inizio il giorno in cui, casualmente fu scoperto un foro su quella dedica, non era un semplice foro ma a detta di molti si trattava di un buco provocato da un proiettile. La voce arrivò presto in paese, fu come un fulmine a ciel sereno e la curiosità fu proporzionale allo stupore.

Ogni fascista rimase incredulo, la maggior parte di loro volle precipitarsi in quel luogo e come novelli san Tommaso infilare il dito in quel foro, come se fosse il costato di Nostro Signore.

Si trattava di un delitto di lesa maestà, un sacrilegio, una sfida, bisognava assolutamente individuare il colpevole e punirlo in modo esemplare. L'attentato, perché così fu definito, fu attribuito a qualche comunista del posto, un bolscevico, ma in che modo stanarlo?

Improvvisamente Francavilla venne assediata dalle camicie nere, si disse che le camionette provenissero sia da Catanzaro che da Lamezia .

Gli squadristi, moschetto in mano si riversarono nelle vie del paese guidate dalle guardie locali. Le nostre madri premurose chiusero noi fanciulli in casa ammonendoci più volte . "staciti dintru non movitivi e ccà o vi tajjanu a testa"; era come se dovesse passare il biblico angelo sterminatore. "Amaru cu ncappa " ripetevano i miei. Le camicie nere girarono il paese in lungo e in largo , fecero perquisizioni , fermi, interrogatori minacciarono ed invitarono alla delazione promettendo ricompense, ma il colpevole non venne fuori.

L'orgoglio dei miliziani era troppo forte per rassegnarsi all'insuccesso, sarebbero passati sicuramente a metodi più sbrigativi se non fossero intervenuti alcune persone influenti del posto per dissuaderli. Gli dissero che mai a Francavilla si erano verificati episodi sovversivi tantomeno c'erano elementi antifascisti. Quel fatto che veniva considerato una profanazione era forse un atto vandalico da attribuire ad uno squilibrato 0 ad un povero di spirito. Non so se le camicie nere fossero state persuase da quell'intervento, ma lasciare il paese senza aver trovato l'autore sarebbe stato per loro un'onta. II caso doveva essere chiuso ad ogni costo bisognava trovare una soluzione per salvare la faccia in poche parole serviva un capro espiatorio. Lo trovarono in don Cesarino Caria fratello dell'arciprete, si trattava di un granchio colossale, tutti a Francavilla lo conoscevamo bene, ma nessuno tranne il fratello osò difenderlo, in fondo questa soluzione accontentava tutti. Don Cesarino agiva sì stranamente ma mai avrebbe impugnata un'arma da fuoco e ciò lo dovettero considerare intimamente anche i miliziani tanto che il poveretto fu rilasciato dopo una ramanzina di facciata. Alla fine quella sorta di muta di segugi partì e il paese tornò tranquillo. Perfino noi ragazzini sapevamo che il vero autore di quel fattaccio non poteva essere don Cesarino, il vero autore era dunque libero e impunito.

II caso aveva incuriosito anche noi tanto che nelle nostre furtive adunate nominavamo segretamente i nostri sospettati, nomi improbabili che corrispondevano agli uomini più temerari o forzuti del paese. Tutto sommato però era stato un bene per la comunità che il caso avesse avuto quell'epilogo, le conseguenze potevano essere peggiori.

A guerra finita con il Paese ormai democratico si tornò a condurre una vita normale ci si poteva adunare liberamente ed esprimere le proprie opinioni senza censure. In quegli anni, ormai giovincello, frequentavo occasionalmente il bar di Micuccio Barbina dove gli argomenti di discussione non avevano confini o spazi temporali. Non ricordo bene come un giorno si uscì a parlare del caso della targhetta dedicata ad Arnaldo Mussolini, fatto sta che uno dei presenti Felice Antonio Lecce fece inaspettatamente la sua ammissione di colpa per quel gesto.

Lo fece in un modo timoroso come se avesse ancora paura, le parole gli furono letteralmente tirate di bocca e solo quando fu convinto dai presenti che ormai quell'azione non gli avrebbe provocato guai continuò sciolto la sua confessione.

"Quel maledetto giorno -inizio' il Lecce- ritornavo stanco morto dalla campagna, da tempo solevo portare con me una pistola a tamburo per un senso di sicurezza. Non avevo dimestichezza con le armi, io con quella non avrei centrato neanche una quercia a tre metri di distanza. Via, via camminando arrivai alla scorciatoia del Drago e prima d'imboccarla quasi per gioco mi venne di mirare con l'arma quella targhetta issata su quel palo, il colpo- lo giuro- mi partì accidentalmente. Madonna mia! Avevo centrato quel bersaglio, nemmeno a riprovarci altre cento volte lo avrei colpito di nuovo, il caso mi aveva giocato un brutto scherzo. Mi resi conto - continuo'- di averla combinata grossa, feci finta di nulla e continuai nervoso e insicuro il cammino verso casa. Quella sera non riuscì a prendere sonno e orchestrai per bene quello che avrei dovuto fare all'indomani, mimai mille volte i gesti da compiere, la notte fu lunghissima e alle prime luci dell'alba ritornai nel mio podere, nascosi per bene l'arma e come avevo programmato, rimasi lì tre interminabili giorni con il timore di essere scoperto .

Ritornai in paese solo quando i miei parenti, preoccupati dalla mia assenza erano venuti a cercarmi da loro appresi il parapiglia che avevo provocato ma non feci parola con nessuno della verità.          

Ho tenuto nascosto questo segreto fino ad oggi e voi siete i primi a conoscerlo"

13 agosto 2010                                                        Lorenzo Malta 

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Per maggiori informazioni scrivere a: phocas@francavillaangitola.com

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