Si sono aperte con il
Corteo reale le Giornate Murattiane 2006 a Pizzo. I nove
gruppi storici
provenienti da tutte le parti d’Italia, II° RGT. Cavalleggeri del Regno di
Napoli-Tolentino, Antica terra di frontiera Basso Lazio- Frosinone, Rgt. Real
Marina- Caltanissetta, Centro studi A’Storia- Savona, 23° Rgt. Dei Dragoni-
Ivrea, Associazione Imago Historia – Picerno, Stato Maggiore Napoleonico – Città
di Santhia, quello napitino dell’Associazione Murat, e il gruppo storico
calabrese di Artigianfamiglia “Pizzo 1810”che ha anche curato il mercatino,
hanno popolato il borgo marinaro
di
ineguagliabile bellezza e valore storico per più di 2 giorni tra sfilate, ronde, prese del castello aragonese, e le due
rievocazioni di Pizzo 1810 e 1815. Dal 11 ottobre al 13, sarà presente a
Pizzo, il discendente del re Gioacchino, Desiderio Murat, accompagnato dallo
storico francese Alfio Pappalardo, che donerà alla biblioteca Murattiana del
castello più di 3000 volumi monotematici scritti in italiano e in francese, tra
cui molti originali dell’epoca napoleonica. Dopo diversi convegni e cene
storiche si concluderà la serie di manifestazioni in onore del re francese con
una Messa solenne in suffragio del caro Gioacchino, tanto amato dai murattiani
pizzitani, che da anni cercano di rivalutarne la figura e il ricordo.
Ma chi era questo re, e come mai ancora oggi viene ricordato con tanto rispetto
anche da alcuni anziani del napoletano, che usano tenere il “Gioacchino”, la
moneta di 5 lire con l’effige del re buono, nel taschino sul cuore come porta
fortuna?
La figura di Gioacchino Murat – re di Napoli dal 1808 al 1815 – è stata sempre
circondata da un’aura di mito. Certamente a ciò
ha contribuito nel tempo, l’originalità della figura del generale, uomo d’armi
valorosissimo e dotato di coraggio pari alla spregiudicatezza, ma non certo
fornito di “fiuto” politico, come dimostrano esaurientemente proprio gli
accadimenti finali della sua avventurosa esistenza. Non meno
importante è stata la circostanza che il mito di Murat sia stato alimentato da
quella scelta – tanto miope politicamente quanto
personalmente eroica – di proporsi, nel marzo del 1815, come alfiere di un
movimento d’indipendenza
nazionale e nell’autunno successivo, di tentare di riconquistare il trono di
Napoli dal quale era stato spodestato. La sfortunata vicenda di Murat –
innestandosi nelle radici
risorgimentali ed evocando il tema dell’unità e
indipendenza nazionale – no poteva non assurgere ad emblema. Tutte le epopee,
come si sa hanno bisogno di “segni” e di “bandiere”. E sotto questo profilo è
indubbio che l’azione politica e militare di Murat nel 1815 aveva certamente i
caratteri per suscitare suggestioni di natura mitica. Come tutti i miti Murat,
quindi è difficile da trattare e soprattutto da giudicare…
Nato a LA BASTIDE FORTUNIERE il 25 marzo del 1767 è morto a
Pizzo nel pomeriggio
di venerdì 13 ottobre 1815. Figlio di un locandiere, grazie alla protezione di
un nobile ottenne una borsa di studio al collegio di Cahors, che lascerà subito
dopo per andare a studiare a Tolosa. Il padre voleva farne un prete, ma
carattere indisciplinato, per le sue marachelle tra le quali anche un duello,
fu
espulso dal seminario e ritornò a casa per aiutare in locanda. Il suo destino
cambiò quando vicino casa sua transitò un drappello di Cacciatori delle Ardenne
a cavallo e subito si arruolò in quel corpo militare divenendo un bravissimo
cavaliere ed ottimo sciabolatore. Fu destinato alla guardia costituzionale di
Luigi XVI, re di Francia che lasciò poco dopo la testa sul patibolo.
A Parigi sostenne la Rivoluzione Francese e per puro caso nel 1795, pare in un
alberghetto della capitale, incontrò Napoleone Bonaparte e fu subito sincera
amicizia. Da allora furono insieme in tutte le battaglie più importanti
combattute sui vari fronti come Italia, Egitto, Francia, Austria, Russia,
Spagna, Prussica.
Al seguito di Napoleone nella Prima campagna d’Italia, comanda le cariche di
cavalleria con tale efficacia da ottenere rapidamente promozioni onori e
celebrità. Nel 1798, ormai generale di brigata, partecipa alla spedizione
d’Egitto:cavalca in testa a tutti nella battaglia di Abukir ed è determinante
nella vittoria. Napoleone gli grida: «La cavalleria ha dunque giurato di far
tutto, oggi?». Presenzia anche al colpo di stato del 18 brumaio 1799: è lui a
comandare la guardia che disperde con le baionette il Consiglio dei Cinquecento.
L’anno seguente è nominato Principe imperiale e nel 1804 Maresciallo
dell’Impero. In tutte le guerre napoleoniche, su ogni campo di battaglia la sua cavalleria sbaraglia gli eserciti avversari.
Nel 1808 doma sanguinosamente la rivolta di Madrid, ma resta deluso nelle sue
aspettative della corona di Spagna. Napoleone gli
assegna invece, nell’estate
dello stesso anno il regno di Napoli.
Nelle nuove vesti da re, Gioacchino si occupa a fondo delle istituzioni del
regno,migliorandone la burocrazia, abolisce il feudalesimo, riordina l’esercito,
fa riprendere gli scavi di Ercolano, fonda la prima scuola militare in Napoli, e
la prima facoltà di ingegneria che allora si chiamava “delle strade e dei
ponti”, migliora tutta la situazione viaria del regno, e cosa importantissima
istituisce in ogni comune le scuole elementari per ambo i sessi. Incomincia a
prendere le distanze da Napoleone. E’ tuttavia di nuovo con lui nella campagna
di Russia e, nella battaglia della Moscova, è ancora una volta all’altezza della
sua leggenda. Durante la difficile ritirata, Napoleone gli affida il comando di
quello che resta della Grande Armée.Rientrato a Napoli cerca però contatti con
gli inglesi e gli austriaci, stringendo con loro un patto: un esercito di 30.000
uomini in cambio del mantenimento e dell’accrescimento del regno di Napoli. Il
30 marzo del 1815 alla testa del suo esercito lancia il Proclama di Rimini, in
cui accusa l’imperatore di bellicismo ed esalta l’Italia indipendente e unita .
Il suo appello non trova però seguito: l’Austria gli preferisce i Borboni e
l’accusa di tradimento. Sconfitto dagli austriaci a Tolentino nella battaglia
del 2 maggio 1815 contro il conte Bianchi, ripara prima ad Ischia e poi ad
Ajaccio..
Nel tentativo di riconquistare il regno perduto, il 29 settembre 1815 partì
dalla Corsica con 5 navi e 250 armati, veleggiando verso il salernitano con
l’intento di far sollevare la popolazione contro Ferdinando IV di Borbone, nel
frattempo ritornato a Napoli sul proprio trono, ma un nubifragio sospinse e
disperse i velieri corsi presso la costa calabrese. Sbarcati a Pizzo domenica
dell’8 ottobre, lo sparuto manipolo di soldati comandati da Murat, furono fatti
tutti prigionieri e rinchiusi nel maniero aragonese.
Dopo un processo farsa, al quale Murat si rifiutò di presenziare, sopragiunse la
fucilazione, avvenuta 5 giorni dopo la sua cattura nella Marina di Pizzo. Fu
sepolto in una botola della navata centrale della Chiesa Matrice di San Giorgio,
in una fossa aperta solo due volte, nel 1833 e 1976. A livello umano si ricorda
la sua dolcezza, bontà, vanità, e spregiudicato coraggio, nel 1800 sposò la
sorella di Napoleone Bonaparte, la bella Carolina, e dalla loro unione nacquero:
Achille, Letizia, Luciano, Luisa. Quest’ultima nel 1833 (per esaudire l’ultimo
volere della madre che desiderava riposare per l’eternità accanto alle ossa
dello sfortunato marito), si recò a Pizzo per prelevare i resti di Murat,
fallendo nell’intento…E facendo nostre le parole del Conte Agar di Mosbourg:
Gioacchino fu un uomo che "seppe vincere, seppe regnare, seppe morire".
Carmensissi
Malferà
su "CALABRIA ORA"
DEL 11/10/2006
Foto di
Giuseppe Pungitore
|