RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
Gent/mo Pino Pungitore
Il processo d’arricchimento culturale di una comunità passa anche attraverso la ristampa di opere recenti che seppure scarsamente rilevanti dal punto di vista storico e letterario hanno animato in determinati ambienti, circostanze e tempi i dibattiti dei "circoli" francavillesi. Tra queste opere rientra di diritto il romanzo “I figli della pazza” di Girolamo Barresi edito a Villa San Giovanni nel 1925. Il libro ebbe una storia a dir poco strana, compariva a Francavilla per brevi periodi temporali per poi misteriosamente scomparire; dalla lettura dell’introduzione che segue il lettore potrà capire il perché. Recuperato finalmente dopo annose ricerche dal geometra Mario Torchia che mi ha coinvolto in questo suo progetto di riedizione, esso sarà dato alle stampe appena ultimata la fase di correzione e rimpaginazione . Comunque sia, nel tuo sito gli appassionati saranno periodicamente informati. Ritengo che in tempi di smarrimento collettivo dell’identità culturale la riscoperta di “tracce” della memoria comune non può che rinsaldare una comunità disgregata e riaffermare il senso della “francavillesità” inteso come sentimento collante.
Un grazie per averci ospitati ed un cordialissimo saluto
Mario Torchia e Lorenzo Malta
Francavilla 19/08/2010
I figli della pazza “
di Girolamo Barresi
Introduzione
Nessuna trovata tecnologica potrà mai sostituirsi ad un libro, vecchio o nuovo che sia esso vive, respira, ingiallisce, emana un suo profumo e magicamente incanala la mente verso la conoscenza o la fantasia.
Un libro può emozionare o annoiare, esaltare o criticare dare l’eternità ad un personaggio, ad un’azione o ad un luogo sperduto, esso stesso poi quasi si trasforma in materia vivente.
Certamente non tutti i libri assumono la stessa importanza, ma ogni autore nel comporli ci mette l’anima e li concepisce come capolavori.
Che i libri abbiano una loro vitalità lo dimostrano i roghi fatti in Russia, in Germania e in Italia negli anni delle grandi rivoluzioni, in queste circostanze si ha avuta la presunzione che bruciando certe opere si potessero cancellare le dottrine, considerate eretiche in essi contenute.
Ogni libro ha dunque una sua storia, e strana e curiosa è quella de “I figli della pazza” di Girolamo Barresi, romanzo storico le cui gesta sono ambientate a Francavilla Angitola in Calabria, negli anni a cavallo tra il 1847 ed il 1860. L’opera, che fu pubblicata nel 1925 a Villa San Giovanni dalla casa editrice “La libera parola” (nome che è tutto un programma), riprendeva il titolo di un libro dello stesso genere scritto dal francese Frederic Souliè (autore di feuilleton famoso nella sua patria quanto Alessandro Dumas) che apparve tradotto in italiano nel 1908. Il libro del Barresi non dovette avere un’ importante tiratura dal momento che al presente in tutta Italia solo presso la Biblioteca Nazionale di Firenze è reperibile una copia, nè fu un best seller per l’autore. La trama esile ed inflazionata , l’ambientazione in un territorio poco conosciuto richiamarono l’interesse di un pubblico ristretto e considerato che l’opera fu edita durante il fascismo quando ormai l’istruzione era divenuta effettivamente obbligatoria e i potenziali lettori erano aumentati il numero delle copie vendute fu veramente esiguo. Il romanzo non ebbe successo ma l’aspetto curioso quasi misterioso legato ad esso fu che a Francavilla, per lungo tempo di esso se ne persero le tracce, fu come se non fosse mai stato stampato pur essendo edito in tempi assai recenti. Solo pochi anziani del posto ne conservarono la memoria la quale col tempo diventò vaga e confusa tanto che il titolo c’è stato tramandato in modo approssimativo, la trama contaminata e il nome stesso dell’autore storpiato.
“I figli della pazza” fu come l’araba fenice, vide la luce per un breve periodo e poi sparì misteriosamente cadendo nell’oblio, a questo fenomeno fu pure data una spiegazione che tutto sommato potrebbe essere veridica. Il romanzo mettendo in concorrenza amorosa il suo scellerato protagonista negativo “il conte di Curinga” con un esponente “libertino” della famiglia Mannacio infangava questa casata che in quanto detentrice esclusiva in Francavilla del potere politico (che fu secolare) di quello economico, sociale e culturale non poteva tollerare quell’affronto alla propria onorabilità per cui si disse avesse deliberato l’ostracismo all’opera del Barresi che pertanto circolò in paese sempre clandestinamente
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Negli anni 60 ne saltò fuori, non si sa come una copia, si ritiene fosse rinvenuta, o fatta rinvenire di proposito nella vicina Filadelfia in occasione di una locale campagna elettorale, essa fece furtivamente il giro delle case degli esponenti della nuova “intellighenzia” francavillese che proprio in quel periodo avversavano il progetto politico di Scipione Mannacio, ultimo sindaco di quella famiglia che ormai si era avviata verso la perdita progressiva della sua egemonia. Anche questo rarissimo esemplare scomparve misteriosamente e per un trentennio a Francavilla se ne persero le tracce, le generazioni successive ignoravano del tutto la sua esistenza. Solo in quest’ultimo decennio in seguito ad un rinnovato interesse per le vicende della storia patria qualche anziano francavillese ha palesato confusamente l’esistenza di quel romanzo. Il trovare l’opera e scoprire quel suo scomodo contenuto che ne aveva impedito la libera circolazione in paese aveva solleticato la curiosità di diversi studiosi francavillesi molti dei quali (tra questi anche chi scrive) si prodigarono a reperirne una copia.
La ricerca ha premiato i tentativi del geometra Mario Torchia il quale è riuscito ad entrare in possesso di una rara copia (non si tratta di quella che circolava in paese negli anni 60) le cui correzioni al testo sono forse dovute alla penna dello stesso autore. L’amico studioso ed appassionato di antiche storie patrie ha voluto disinteressatamente ripubblicare il testo offrendo a studiosi e curiosi la possibilità di riappropriarsi di una memoria che non andava assolutamente perduta e questo suo gesto ridona un nuovo impulso alla ricerca e rinnova il dibattito culturale.
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Probabilmente non sapremo mai nulla di Girolamo Barresi l’autore de “I figli della pazza” la cui storia è ambientata nel nostro paese.
Chi era costui? Quali legami aveva con Francavilla? Come mai conosceva luoghi, usanze e cognomi del nostro circondario? Come mai tra tanti nomi fittizi (Coccolo, Gambino, Rondini, Modini) inserisce quello reale dei Mannacio? Difficile rispondere.
Comunque sia, chiunque s’approccia al romanzo pensando di avere sotto gli occhi un capolavoro della narrativa va preventivamente disilluso, il suo interesse precipuo sta solo ed esclusivamente nella sua location. Pochi sono i suoi pregi e molte le lacune; esile nell’impianto, gravato spesso e a sproposito di pesanti notizie storiche generali che ne gonfiano la trama e ne appesantiscono il discorso, che raramente scivola lindo, esso finisce spesso con l’ annoiare il lettore.
I continui inserimenti di colpi di scena che nel racconto si alternano vertiginosamente e la ricerca del coup de theatre che appare sempre scontato mai portano il lettore sulle corde e tutti i tentativi di creare quella suspense che è tipica dei romanzi di questo genere risultano vani . Lo stile del Barresi poi non è raffinato, egli non è il Manzoni e mostra tutti i suoi limiti quando abbandona il discorso narrativo per passare a quello elegiaco senza mai riuscirci efficacemente, del resto come confrontarsi con la poesia di “Quel ramo del lago di Como” o dell’ “Addio monti”?
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Pur tuttavia allo scrittore milanese egli s’ispira fin dalle prime righe e la sua opera pare in più pagine plagiare quella del più illustre predecessore, fin troppo marcate sono poi le analogie tra i due romanzi ad incominciare dalla trama finendo alla tipologia dei personaggi; Rosa ed Angela le sventurate protagoniste femminili del suo racconto sono modellate sulle figure di Agnese e Lucia ed il prepotente “conte di Curinga” pare riprendere i tratti del più famoso don Rodrigo, ai bravi manzoniani corrispondono poi nel nostro autore i vari picciotti e briganti calabresi.
Non mancano poi scene fotocopia che sembrano uscire da un unico clichè, tra le tante segnalo il rapimento in carrozza delle due sfortunate protagoniste del romanzo le quali vengono trasportate di notte presso la casa all’Angitola del prepotente signorotto . Nessun valore artistico ha pertanto l’opera del Barresi ma non possiamo demolirla del tutto ora che finalmente è stata ritrovata , al lettore farà piacere riscontrare nel racconto le poche descrizione paesaggistiche della Francavilla dell' 800, come la discesa della Fria, le sue locande, la messa della domenica, la gendarmeria, la farmacia del paese, il parroco etc.
Il Barresi ha certamente visitato i nostri luoghi egli dimostra pure di conoscere bene la nostra storia e ciò lo si evince dai particolari che hanno come sfondo i moti del 1848. Moti che come sappiamo finirono tragicamente per gli insorti convenuti nella vicina Filadelfia nella battaglia presso il ponte delle Grazie nel territorio di Curinga. Francavilla, come ho avuto modo di scrivere in passato. in questi eventi prerisorgimentali ebbe un ruolo fondamentale e ciò è attestato dal Dito, dal Visalli e dal Ricciardi, a lungo si è ignorata l’esistenza nel nostro paese di una vendita carbonara e di un nutrito gruppo di adepti all’associazione segreta costituita da Benedetto Musolino, 400 furono i patrioti che presidiarono il paese e proprio a loro toccò il battesimo del fuoco presso l’Angitola contro le truppe borboniche del gen. Nunziante. Chi legge l’opera del Barresi potrebbe pensare che Francavilla fosse un’isola felice per picciotti e briganti. Non fu così il paese dopo il brigantaggio che caratterizzò i primi anni della dominazione francese si mantenne pacifico e tranquillo, i patrioti per lo più figli dei possidenti locali, pur cospirando contro il re Ferdinando II non si macchiarono mai con azioni di comune criminalità. Ho ragione di ritenere che l’opera che oggi ripubblichiamo sia stata scritta molto prima della data di pubblicazione (il 1925) perchè i frequenti giudizi negativi che il Barresi dissemina qua e la nel suo racconto contro la Chiesa e quanti hanno avversato l’unità d’Italia hanno un senso se anticipati nel tempo.
Non mi resta che chiudere questa breve introduzione augurando a quanti ancora amano le vecchie storie brigantesche una piacevole lettura anche a dispetto della critica severa, condivisibile o meno, che per onestà intellettuale abbiamo riservato all’opera.
Rinnovo infine al geometra Mario Torchia il ringraziamento per avermi coinvolto nel lavoro di ristampa di quest’opera data ormai per perduta.
Lorenzo Malta