ESTATE NEL PAESE DEL DRAGO SPIGOLATURE VARIE di Vincenzo Ruperto
‘ Certe voci mi tirano all’indietro, sino alla stupìta infanzia-/al cieco nascimento- quando cominciò il dolore./ Tardi ho compreso come/ si è scheletrizzata/ la sorte tua e la mia. Solleciti richiami rinnova l’antica grotta del Drago consolatrice delle giovanili partenze e dei ritorni’. (Vittorio Torchia da Ripigliamoci il tempo)
N.B. Già il sito si è occupato dello stesso argomento. Il presente articolo è frutto di annotazioni personali.
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E anche questa estate è fuggita. E’ fuggita lasciando un paese più silenzioso nel suo inarrestabile declino demografico e sociale. E’ fuggita dopo aver consentito di assistere a varie iniziative religiose e civili. La Festa di San Foca si è svolta con grande partecipazione di fedeli, molti dei quali emigrati. E’ l’evento principale per i francavillesi. Bene ha operato il Comitato sotto la guida di don Giovanni Tozzo. La festa in onore della Madonna delle Grazie si è svolta con la tradizionale processione e l’accompagnamento della Banda Musicale di Filadelfia, pochi gli emigrati. La stessa banda si è esibita nell’anfiteatro di Pendìno. Come repertorio le colonne sonore di celebri film. Un successo.
Chiesa di San Foca Martire e Chiesa di Santa Maria delle Grazie
Foto storica processione S. Foca 1950-60(archivio privato, gentilmente concessa)
°°°°°°°°°°°°°°°°00000000°°°°°°°°°°°°°° Quest’anno anche gli Evangelisti hanno voluto presentarsi al popolo francavillese celebrando i loro riti in Piazza Santa Maria degli Angeli. Una novità assoluta. Piazza gremita di fedeli e anche di attenti cittadini di altra fede religiosa. Francavilla si presenta come il paese più religiosamente tollerante: cattolici, evangelisti e testimoni di Geova.
°°°°°°°°°°°°°0000000000°°°°°°°°°°°°°° Tra le iniziative laiche si è avuta quella della presentazione del libro dell’ing. Amerigo Fiumara:’ Il PSIUP.- Francavilla prima e dopo(’50-’79)’. L’anfiteatro di Pendìno ha fatto da degna cornice. Relatori l’ins. Michelino Condello e il prof. Dorino Russo. Ospiti d’onore l’ing. Franco Daniele e il preside Pasquale D’Agostino. Numerosi gli interventi. In merito a questa iniziativa, che reputo positiva, nel dibattito sono intervenuto anch’io. Spinto da quel maledetto vizio di dire apertamente le cose che penso, anche se sbagliate, credo d’aver suscitato alcuni risentimenti. Non era mia intenzione recare offesa a nessuno e tantomeno all’autore del libro. Se il mio intervento ha prodotto questo effetto contrario, si vede che mi sono espresso male e chiedo scusa. Ho fatto delle battute di semplice, amicale ironia che hanno sortito non il sorriso, ma l’effetto contrario. Ripeto ancora non c’è mai stata nel mio pensiero l’intenzione di recare offesa ad alcuno, né tantomeno alla persona dell’autore del libro.
Nell’occasione l’Amministrazione Comunale, tramite il sindaco avv. Antonella Bartucca, ha consegnato un attestato alla memoria dell’ex Sindaco Scipione Mannacio per l’impegno profuso in occasione della disastrosa alluvione del 1953. Presenti i figli Piero e Franco che hanno ringraziato i promotori per il gradito riconoscimento dell’attività amministrativa del defunto genitore.
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Interessante la nascita del Centro Culturale e delle Tradizioni Popolari. Franco Torchia ha avuto la felice intuizione di aprire al pubblico con una mostra fotografica su persone e luoghi di Francavilla. I visitatori sono stati numerosi, emigrati e residenti, e si soffermavano a scrutare quelle foto come se andassero alla ricerca di un tempo ormai perso con le sue persone, la sua religiosità, le sue case, le sue piazze, i suoi vichi. Le ore notturne passavano veloci nel vedere tutte quelle foto, anche nel computer. Si arrivava anche sino alle tre del mattino. Non mancava la passeggiata al Drago. La quiete notturna rende più chiari i ricordi, le memorie, e più reale (ohimè) il presente. Il piccolo ambiente che ospita il Centro si trova nel Vico Corso Nuovo ( palazzo notar Ciliberti). Nel 1938 il Corso Nuovo era l’attuale Corso Scipione Mannacio. Il segretario comunale dell’epoca, nella deliberazione, si limitò a citare solo il Corso, dimenticando di cambiare anche la denominazione del vico che da Tafuri (Casa degli Enrichi) porta alla sede del Centro. Si dimenticò veramente o lo fece volutamente per ricordare ai posteri l’antica denominazione del Corso?. Il creatore del Centro, dott. Franco Torchia, si è dimostrato un buon organizzatore e un attento ascoltatore dei vari consigli dati dagli amici e conoscenti. Ha saputo in piena sua autonomia scegliere cosa fare o non fare. Ha usato bene il ‘cernìgghiu’, realizzando con tempistica sorprendente un’ encomiabile iniziativa. La stanza che ospita il Centro è sembrata come una nonna di vecchi tempi, felice di accogliere quei nipoti e pronipoti che finalmente erano andati numerosi a trovarla. Una sera si è verificato un improvvisato incontro tra alcuni cittadini. Si presentarono parecchi francavillesi, senza aver avuto alcun invito, e la stanza-nonna fu molto felice, come un incanto, riuscì ad accogliere più di trenta convenuti tra uomini e gentili signore. Un ringiovanito prof. Barbina rimase entusiasta. Con Franco e il fratello prof. Armando decidemmo di visitare le ‘marinate’ di Francavilla: Trivìo, Fellaro, Fonte del Fico, Eccellente, la strada dei Francesi, la stazione Ferroviaria. Al Trivìo-Fellaro incontrammo un caro amico che ci fece visitare la sua azienda agricola e nello stesso tempo vedere le lunghissime antiche armigere. Notammo con dispiacere che gli argini e l’alveo del torrente erano pieni d’immondizie. Una sorprendente scoperta si presentò dinanzi ai nostri occhi, un gigantesco albero di sughero il cui tronco si ergeva dal fondo del torrente e diramava i suoi rami, grossi come altrettanti alberi, nella fitta vegetazione circostante. La fonte del Fico ( la Ficàra) è un fiume carsico, cioè sotterraneo, che origina dalle montagne sovrastanti e sfocia parte a livello della statale 18 e parte al di sotto. Una decina di grossi canali non sono sufficienti a far defluire tutta l’acqua. Di fronte alla fonte, al margine della strada statale, notammo una discarica a cielo aperto. Ci portammo a Eccellente e da qui iniziammo a percorrere la strada dei Francesi, ossia la Via Popilia. Attraversammo la vasta pianura ove esistono ancora chiazze olivetate. Incontrammo un numeroso gregge di pecore. Il pastore fu lieto nel farsi riprendere dalla fotocamera di Franco. Dall’azienda Mancari sino all’Angitola la coltivazione è specializzata per la produzione di agrumi, fragole e ortaggi vari. Presso la località San Giorgio, sita tra il Palazzo che fu del senatore Molè e la litoranea, potemmo osservare e fotografare gli innumerevoli cocci di vasellame, tegole, mattoni di epoca romana, frantumati dai trattori e disseminati tra le coltivazioni di primizie. Ci portammo alla stazione ferroviaria, ormai deserta, riuscimmo a scattare qualche foto a una specie di littorina che andava verso Sant’Eufemia. Alla stazione ferroviaria, nella mia gioventù affollata e ospitale, ora è raro che si fermi qualche treno, non arriva più autobus carico di studenti e lavoratori. In quel muto sito sembrano aggirarsi le ombre amiche di Foca De Rocco e della moglie donna Santa, di Ercole Pungitore e famiglia, di Vurro,di dono Paolo Stillitani e di tanti e tanti altri personaggi.
Veduta dalla loggia del Convento dei Francescani Riformati e donne in costume francavillese
°°°°°°°°°°°°°000000000000°°°°°°°°°°°°° L’Amministrazione Comunale ha voluto arricchire la toponomastica francavillese intitolando il Vico che da Piazza Solari porta in Via Lungoborgo alla figura di Vincenzo Guarino Scardamaglia. Una sobria cerimonia che ha visto l’ins. Michelino Condello come relatore della biografia di Ciènzu. Presente una nipote. Il sindaco ha spiegato i motivi che hanno mosso l’Amministrazione a realizzare questa iniziativa. L’iniziativa forse avrà qualche strascico polemico. Ci saranno i consensi e i dissensi, è un fatto normale. Si può capire l’eventuale strumentalizzazione dalle motivazioni con le quali si giustifica il proprio pensiero. Per me è stata una sorpresa e francamente alcune perplessità non si sono ancora dissipate. Ho assistito alla cerimonia, ho scattato anche qualche foto, ho sentito i vari interventi e non ho espresso alcun commento. Vincenzo Guarino Scardamaglia era chiamato Ciènzu quando qualcuno si rivolgeva a lui direttamente, accorciativo comune di Vincenzo, ma nella comunità francavillese era chiamato Cecio, un diminutivo dispregiativo. Era nato nel 1919 da famiglia umile, ma non disdicevole. Io ricordo nebulosamente quando la sua famiglia abitava nella casa di proprietà della famiglia Ciliberti, all’angolo di via II Borgo di fronte alla fontana dei Caraffa. Ho un buon ricordo dei fratelli di Cecio: di Giuseppe, mite e sorridente lavoratore, sposo di Eleonora (Dianòra) Caruso, donna costumata e lavoratrice, di Francesco, uomo dignitoso nell’affrontare le avversità della vita che, dopo il primo matrimonio, si era trasferito a San Nicola da Crissa. E in questo comune ebbi il piacere di rincontrarlo più volte, era un compagno di partito. Era bene informato sulla vita politica francavillese e discuteva come se fosse permanentemente dimorante nel suo paese natio. Non ho conosciuto le sorelle.Cecio era cresciuto con grave handicap di apprendimento. Ciccio mi diceva che forse era dovuto a una caduta avuta quand’, era ancora in fasce. Andò peggiorando per la mancanza di cure e per l’ambiente in cui era costretto a vivere. I suoi coetanei lo isolavano dai loro giochi, alcuni lo deridevano e arrivavano anche a usargli violenza. Solo il soccorso dei suoi familiari e di altri conoscenti riusciva a sottrarlo a quelle frequenti molestie. E’ stato sempre incapace di portare violenza ad altri. Alcune famiglie proibivano ai loro figli di giocare con quel moccioso che indossava vestitini sgualciti e mal rattoppati, sempre scalzo con i piedi malconci per le frequenti stroppijatìne . Crebbe con fisico robusto, non ebbe mai a patire serie malattie. Sano e robusto burocraticamente dicendo. Divenuto adulto, fu curato da alcuni familiari, nei limiti delle possibilità che si potevano avere in quei tempi di nera miseria. Vagava Cecio per le strade di Francavilla prestandosi a portare a domicilio delle varie famiglie fagotti, fagottini e altre ‘incombenze’. Come ricompensa qualche ‘tuòzzulo’ di pane e bicchiere di vino. Vi era qualche anima pia che gli regalava anche qualche vestito usato e qualche vecchio paia di scarpe. Sapeva ringraziare soltanto con quel suo sorriso che accompagnava con breve suono gutturale. Assisteva alle conversazioni che si facevano nei vari crocicchi e partecipava sempre sorridente e con i luccicanti occhi che sapevano di assenso verso tutti. Spesso mangiava il suo frugale pasto seduto sui marciapiedi della Piazza o su qualche uscio di casa. Quand’era solo si avvicinavano anche i passerotti per mangiare qualche mollica di pane. Gli saltavano sulle scarpe e sulle ginocchia Cecio non li spaventava. Un vecchio cane da caccia di proprietà di mio zio Marcellino Niesi era diventato un amico di Cecio, gli stava sempre di dietro, e quando si fermava per mangiare la sua colazione, si accovacciava vicino a lui guardando sornione in attesa che gli fosse data anche a lui qualcosa da mangiare. Si vedevano spesso giocherellare. Un arguto poeta dialettale locale in una sua poesia descrisse queste scene con questo verso: Cecio Guerìno arripìnna cù càna ‘e Marcellino. Quella poesia l’ho letta, assieme ad altre, e non la ricordo. Chissà se qualche familiare di quell’arguto poeta conserva lo scritto o ricorda a memoria questa o altre poesie?. Nel taschino della giacca portava sempre alcune penne bene inforcate e nella terza età anche un berretto di velluto. Cecio nel fisico non dimostrava l’età anagrafica. Quando si chiedeva quanti anni aveva qualcuno dava questa risposta: ‘quàntu ‘a gramìgna ‘e Santutòdaru’, tipica espressione francavillese per significare che la gramigna in contrada Santodaro c’è sempre stata ed è molto antica. Intorno agli anni 1964-65 Cecio fu riconosciuto invalido e gli fu concessa la pensione. Per il tipo d’invalidità riconosciuta fu cancellato dalle liste elettorali e non poté più votare. Ma aveva mai veramente votato?. In ogni elezione Cecio si rattristava, guardava silenzioso chi andava a votare alla sezione elettorale allestita a Palazzo Solari. Qualche amico, vedendolo così rattristato, cercava di consolarlo con pietosa bugia, promettendogli che all’indomani lo avrebbe fatto votare e gli porgeva un fac-simile invitandolo a votare il simbolo da lui preferito. Cecio sorrideva mestamente e diceva che non l’avrebbero veramente fatto votare. Si dovette nominare un tutore presso il giudice. Fu nominato Foca David Ciliberti, il quale provvide all’assistenza di Cecio come un vero padre di famiglia. Vi furono alcuni personaggi che spesso sfottevano Cecio e quasi godevano nel vederlo sfregiarsi il viso con le unghie delle sue mani e mettendosi a piangere gridando contro tutti e contro se stesso. Dopo Foca David fu nominato tutore Vincenzino Russo, il quale lo curò bene e non gli fece mancare niente. Dopo fu nominato il parroco don Pasquale Sergi. L’intitolazione del Vico a Cecio non è un misfatto e credo che i francavillesi non faranno gran rumore sul caso. Cecio visto come emblema di un uomo che, anche per la sua disabilità, rappresenta una comunità in un periodo, nonostante le numerose divisioni e catrèje, durante il quale fu rispettosa delle altrui disgrazie. Cecio fu un unicum. Fu un uomo incapace di intendere e di volere. Incapace di intendere e di volere il male da parte di un uomo buono. Resta comunque un problema che non si è voluto mai affrontare seriamente: quello della toponomastica. Rivisitazione e aggiornamento di alcune intitolazioni che non dicono nulla neanche ai naturali ( il caso della via Livorno e non solo). Le memorie storiche di un paese si scrivono e si leggono non soltanto sui libri, ma anche nella sua toponomastica.
°°°°°°°°°°°°0000000000000°°°°°°°°°°°°° L’Amministrazione comunale anche quest’anno ha organizzato due serate gastronomiche in Piazza Santa Maria degli Angeli, nella prima menù principale filatièdi e cìciari, nella seconda trippa e patàti . Serate riuscite e ben accolte dal pubblico.
°°°°°°°°°°°°0000000000000°°°°°°°°°°°°° Mini Foto-Galleria
I Chiazzaruòli
Briscola e Tressette
Marianna,Ciccio e Vincenzo
Al mercato
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Sono stato invitato a collaborare a un sito, ancora in preparazione, che si vuole occupare degli usi, costumi e tradizioni francavillesi, con particolare riguardo al nostro dialetto. Nell’intenzione l’iniziativa è lodevole specialmente per la ‘ parràta francaviduòta’, abbinando lo scritto delle varie parole con la pronunzia, ossia lessico e fonetica. Come si sa la lingua calabrese si divide in tanti rivoli, non è un dialetto uniforme e varia da paese in paese. Vedremo. Sono comunque dell’opinione che anche in questo campo l’unione fa la forza. Sarebbe meglio che i vari siti fossero una specie di vasi comunicanti. Innanzitutto voglio sollevare una questione essenziale che riguarda il nome Francavilla. Una questione che bisogna chiarire ad ogni costo, perché in merito vi sono delle discordanze vistose. Questa estate, presso il Centro di Aggregazione degli anziani, abbiamo trattato l’argomento e si sono palesate tra gli amici varie interpretazioni ( discordanze per l’appunto). Sappiamo come si pronuncia nel nostro dialetto Francavilla, e si è tutti d’accordo, ma vi è difficoltà nello scriverlo. Ci troviamo di fronte allo sviluppo della doppia L. Insigni linguisti, tra cui anche Gerhard Rohlfs, hanno scritto che la sua normale riduzione è –dda come in Sicilia e Sardegna ( stàdda, bièddu o bèddu e bèdda, stidda, cavaddu con i puntini sotto le -dd per significare che la sua pronuncia è diversa dall’italiano, con –dd meno dure. In certi paesi della Calabria invece dei –dda si ha –da, per cui stàda, bièdu e bèda, stìda, cavàdu, sempre con la –d meno dura dell’italiano, è il caso di Francavilla, un fonema non esistente nella lingua italiana che si riscontra anche a Maida, Cortale e Curinga. Quella doppia L che diviene una -d si potrebbe evidenziare sottolineandola. Avremmo così stàda, bièdu, stìda, cavàdu e FRANCAVI’DA – Francavìda, forse sarebbe più corretto. La migliore strada è di interpellare in merito un linguista. Chi meglio del prof. Barbina?. A Pizzo, Tropea e Vibo la doppia L si trasforma in –j per cui stàja ecc..
Io continuerò a scrivere FRANCAVìDA
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Per maggiori informazioni scrivere a: phocas@francavillaangitola.com