L'ultima cena
Un Giovedì santo all'insegna della riflessione e della preghiera. Nella parrocchia di Francavilla, si è rivissuto, nel rito della Cena, uno dei più commoventi e toccanti momenti della vita di Cristo in terra, l'immenso amore per l'umanità, l’istituzione del sacramento dell’Eucaristia. Sempre molto suggestivo il rito della lavanda dei piedi dei 12 apostoli posti ai piedi dell'altare. Un rinnovarsi, dunque, di quell’ antica sera di oltre duemila anni fa, nella quale Cristo volle condividere la cena di pane e vino assieme ai suoi, prima dell'abbandono e della solitudine che lo avrebbero portato al monte Calvario. Alla fine della Messa il pane benedetto, sotto forma della tipica ghuccidhata francavillese, è stato donato ai dodici apostoli.
GIOVEDI’ SANTO
Il cuore di questa liturgia è come segnato dal desiderio di Gesù di fare la Pasqua con i suoi, quelli di allora e quelli di oggi. Gesù sente il bisogno di averci accanto, di starci vicino. E se noi siamo quì, è perché vogliamo essergli amici, discepoli e testimoni.
Stargli accanto è di grande conforto per lui, che di lì a poco sarà tradito, arrestato, malmenato, ucciso.
Due gesti sono al centro della Pasqua di Gesù: la lavanda dei piedi e l’istituzione dell’Eucaristia.
L’evangelista narra che Gesù, a un certo momento della cena, si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugamano, si inginocchiò davanti a ogni discepolo lavandogli i piedi, anche quelli di Giuda.
L’imbarazzo fu generale.
Quindi Gesù disse loro: “Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono.
Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”.
Il comando evangelico è rivolto a tutti i discepoli, anche se nel rito liturgico solo il sacerdote si china a lavare i piedi.
E’ ovvio che non si tratta di un gesto esteriore; quel che il vangelo chiede è un atteggiamento di vita, è uno stile di servizio e di umiltà.
Se c’è gente che si china su chi ha bisogno d’amicizia, d’affetto, di comprensione, d’accoglienza, d’aiuto, la presenza del Signore sarà concreta e visibile in questo nostro mondo.
Gesù, quella sera, oltre ad essersi chinato per lavarci i piedi, si è anche fatto cibo per noi.
Egli, racconta l’apostolo Paolo nella Lettera ai Corinzi, «nella notte in cui veniva tradito, prese il pane e disse: “Questo è il mio corpo, che è per voi; prese poi il calice dicendo: questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue».
Cosa non ha inventato il Signore, per stare per sempre con i suoi discepoli!
L’Eucaristia è senza dubbio il miracolo dell’amore, della totalità dell’amore.
Ma come Gesù è presente nel pane e nel vino? E’ presente come pane “spezzato” e come sangue “versato”, cioè come uno che dona tutto sé stesso, che si spezza e versa tutto il suo sangue per noi.
Egli è presente come l’amico che ama sino alla fine, oltre l’immaginabile.
Nell’orto degli ulivi, quando i soldati vanno per catturarlo, egli dice loro: «Se cercate me, lasciate stare loro».
Non voleva che i suoi amici corressero alcun pericolo. Quale amore!
Con l’eucaristia Gesù non solo si avvicina a noi per starci accanto; entra dentro, diventa carne della nostra carne, come noi siamo carne e sangue della nostra mamma.
L’ostia e il calice, presenti su tutti gli altari del mondo, sono il segno visibile di un amore che non ha limiti.
L’eucaristia è davvero un sacramento di salvezza: ci salva da una vita ripiegata su noi stessi e ci trasforma in uomini e donne che sanno inginocchiarsi davanti ai deboli e ai poveri, rendendo così vero e reale l’amore del Signore.
Accostiamoci dunque al pane della vita e al calice della salvezza e saremo trasformati!