Trekking archeologico a Briatico Vecchia
tra cultura da recuperare e natura incontaminata primo percorso di un itinerario nella provincia di Vibo Valentia
Certo leggere le pagine di una rossa guida turistica che traccia brevi cenni dell’antico sito della città di Briatico, o il libro di Beppe Tropea, “Da Bristakia a Briatico” o anche solo sfogliare il volume di Vito Teti “Il Senso dei Luoghi”, è cosa ben più facile. Alzarsi di prima mattina e guardare il cielo minaccioso d’acqua, di lampi e di fulmini all’orizzonte e pensare che alle nove e mezza hai un appuntamento nella piazza del paese per andare a fare un percorso quasi da sopravvivenza è ben altra cosa. Ore 9.30, tutti puntuali all’appuntamento, da Dasà arriva l’esperto conservatore, Franco Luzza, critico d’arte, restauratore, persona sensibilissima a tutto ciò che di artistico possiede questa nostra provincia. Arrivano gli altri…da Mileto Sara Elia, da Briatico i fratelli Cristiano e Gianmarco Santacroce e il giovanissimo Daniele Vallone, mascotte del gruppo, da San Ferdinando l’architetto Michele Laruffa, che opera nell’ambito del recupero conservativo architettonico e paesaggistico. Da Pizzo arrivano Carmensissi e Domenico Malferà, dalla vicina San Costantino di Briatico, Pasquale Barbieri Garrì, laurea al Dams di Bologna e grande passione per il teatro e per l’arte, da Conidoni l’architetto Rosaria Scordamaglia, che proprio su Briatico Vecchia ha elaborato la sua tesi di Laurea, oggi importante riferimento per altri studiosi di recupero architettonico. Da Francavilla Angitola giungono due simpatici personaggi, il ricercatore Gianfranco Schiavone, vero esperto del culto di San Francesco di Paola e della pietà popolare a lui legata e il webmaster Giuseppe Pungitore che, tra l’altro, cura il sito web di Francavilla Angitola e che in questo “viaggio” ha effettuato le riprese video dell’evento. Ma ecco alcune indicazioni e la cronaca dell’itinerario effettuato nel dettaglio. Dopo l’arrivo nei pressi del campo sportivo di San Costantino di Briatico c’è una stretta strada di campagna, bisogna parcheggiare le auto e proseguire a piedi scendendo per una ripida strada sterrata fino a raggiungere una pianura sabbiosa alluvionale e subito dopo, nascosta dal canneto, la fiumara Murria, abbastanza stretta ma non facilissima al guado… più di uno dei nostri escursionisti ha provato, infatti, di persona, le sue gelide acque. Altri, più agili e acrobatici, hanno saputo superare le sue vorticose acque saltellando su instabili massi lanciati in acqua proprio per facilitare il passaggio. Al di là del fiume un secolare e maestoso albero di noce attende, con la sua frescura, tra altri alberi di arancio selvatico e di fichi che inebriano api, uccelli e uomini e mentre assaporiamo i freschi frutti ci viene in mente l’archeologo Paolo Orsi, tanto attuale di questi tempi per l’importante volume curato da Michele Antonio Romano e pubblicato, in questi giorni per le edizioni Qualecultura di Vibo Valentia. Ripensiamo a quel Paolo Orsi che ha avuto la fortuna , agli albori del ‘900 di avere avuto uno sguardo sulla verginità di questi luoghi del vibonese, ed adesso, osservando bene il paesaggio circostante, notiamo, in lontananza, quattro abbozzi di altrettante discariche, forse l’inizio della fine di un luogo incontaminato come questo. Un vero percorso di trekking dicevamo, ma anche un duro percorso valido per i corsi omologati di sopravvivenza, quello effettuato dai nostri cultori, tra spine, rovi di more, sentieri appena abbozzati da centinaia di anni che sopravvivono ancora oggi per accompagnarci in itinerari tracciati tra le pietre antiche del borgo distrutto dal terremoto del 1783. Dopo il guado del fiume Murria risaliamo il costone di roccia calcarea, di tufo e arenaria ricca di clypeaster ed altri fossili marini del Quaternario, ma anche di argilla verde e umida e pietre vulcaniche di pomice. In questo nostro tragitto incontriamo tante lucertole, grilli, verdi fate e salamandre, ma anche una serpe nera che incrocia, improvvisa e veloce, il cammino del giovane Daniele. Poi, finalmente, l’ultimo sforzo, su per un costone scivoloso e ripidissimo anche per le capre ed ecco che ai nostri occhi si schiude la visione straordinaria dell’antico borgo abbandonato. Siamo arrivati ai piedi del castello di Briatico, maestoso, grande, con un bugnato a punta di diamante che ancora domina la vallata che guarda verso San Cono di Cessaniti. Dall’altro lato lo stesso maniero punta il suo spigolo appuntito, come una prua di nave, sull’invitante mare di Briatico nuova, verso la Rocchetta che fa capolino tra una vallata e l’altra, tra gli ulivi secolari, tra il verde delle piante di capperi e degli alberi di melograno. Sopra il monte antico rimangono solo ruderi, scifi e vasche di granito lavorato da anonimi scalpellini ed embrici di terracotta rossa, spaccati, posizionati tra i rovi di more, tra mandorli dolci e amari violati da recenti incendi, tra grovigli spinosi che bloccano il passaggio e la terra secca da cui spuntano le piante di liquirizia, di origano, di capperi e cipujazzi selvatici. Briatico Vecchia rimane ancora oggi un’isola felice e quasi fortunatamente irraggiungibile, con la sua flora e la sua fauna selvatica, con rondoni, falchetti, pipistrelli, e volpi che vivono indisturbati nel silenzioso ritmo della natura. Tra i ruderi dell’antico abitato una sezione di fabbricato lascia ancora intravedere, timidamente e quasi con religioso rispetto, le tracce di chi ha abitato anticamente quei luoghi: una parte di mandibola con alcuni denti, un femore resistito a centinaia di anni, altre mille tracce porose di altre indefinite ossa umane, tra frammenti colorati di blu indaco di lucida ceramica e grezza rossa terracotta del tempo. Sappiamo benissimo che quel posto, così inaccessibile e a strapiombo sul vuoto della timpa, era una delle sette chiese o uno dei monasteri di Briatico Vecchia, forse, come dicono gli antichi, proprio quello Carmelitano. Evitiamo di stare troppo sul dirupo, è molto pericoloso. Ritorniamo indietro, una bella avventura, stanchezza, sudore, esperienza e contatto diretto con il passato. Si rientra nel reale dell’oggi mentre sulla rupe, ormai lontana allo sguardo, rimane solo l’eterno silenzio dell’abbandono. Prossime tappe di questo tour archeologico calabrese, i ruderi di Rocca Angitola, la chiesa grotta di Vena Soprana, il borgo medievale di Francavilla Angitola, i ruderi di Castelmonardo, il Ninfeo Romano di Papaglionti, l’insediamento rupestre di Zungri e tanti altri percorsi culturali in fase di definizione.
Franco Vallone 18-09-2006
Foto di Giuseppe Pungitore
RICOSTRUZIONE EFFETTUATA DA FRANCO VALLONE DOPO INTERVISTE CON I CONTADINI E I PASTORI DELLA ZONA
FOTO DI GIUSEPPE PUNGITORE
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Per maggiori informazioni scrivere a: phocas@francavillaangitola.com