Chi si appresta a raggiungere l’abitato di Francavilla, in provincia di Vibo Valentia, seguendo la strada provinciale che dal bivio Angitola sale verso Filadelfia, rimane affascinato dal paesaggio che, circoscritto tra i monti delle Serre Vibonesi e il golfo di S. Eufemia, il lago Angitola e i ruderi della città medioevale di Rocca Niceforo, rivela la naturale vocazione turistica e le qualità agrarie del territorio, prevalentemente collinare con vaste distese di uliveti e vigneti.
Superata la vasta pianura di contrada Sordo/Ziopà e percorso il viale “del Drago”, dal nome di una grotta naturale che richiama miti e leggende popolari, si giunge in prossimità del paese.
Muovendo lungo l’asse viario principale, che nel suo percorso assume prima il nome di Domenico Servelli - giovane ufficiale morto nella prima guerra mondiale - e poi di Scipione Mannacio Soderini - avvocato e sindaco di Francavilla dal 1877 al 1899-, si arriva in piazza Michele Solari - ufficiale dell’aeronautica militare vittima d’un incidente aereo in Africa nel 1924.
Nel perimetro della piazza, centro della vita politica e sociale del paese, sono distribuiti: la chiesa di S. Maria del Rosario, palazzo Mannacio, il municipio (ex palazzo Solari), una fontana in pietra intagliata proveniente dal chiostro del ex convento di S.M. dell’Annunziata dei pp. Predicatori.
La chiesa di S. Maria del Rosario, costruita tra il 1843 e il 1848 ad aula unica, conserva una artistico altare ligneo e un quadro del Nome di Gesù di autore ignoto, proveniente dall’ex convento di S. Maria dell’Annunziata. Nell’ingresso principale è una porta in bronzo, realizzata dallo scultore Giuseppe Farina nel 1992. Nei sei pannelli distribuiti tra le due ante della porta, l’autore ha voluto rappresentare momenti e aspetti della storia sociale, economica e religiosa di Francavilla, l’origine storica del paese, quella di un luogo fortificato a difesa delle popolazioni contro le scorrerie dei Saraceni.
Nei locali di palazzo Mannacio, ex convento domenicano, imponente per la sua struttura architettonica, hanno sede la Biblioteca Comunale il Museo dell’Emigrazione. Il Museo dell’Emigrazione, intitolato a “Giovanni Battista Scalabrini”, attraverso un itinerario visivo e cronologico mostra i momenti precedenti la partenza, cioè quelli di una società contadina la cui vita era scandita dal suono delle campane e dal calendario agrario; i documenti necessari per emigrare; l’immagine del Santo Patrono che il contadino-emigrante portava con se come testimonianza di fede e devozione, ma anche come mezzo per invocare aiuto e protezione. Infine, la “Merica” vista attraverso le foto inviate ai parenti rimasti per dimostrare di aver fatto fortuna e di vivere in una terra lontana una vita migliore rispetto a quella grama del paese.
Da piazza Solari si può accedere ai numerosi vicoli e ai caratteristici “catafarchi” fino a raggiungere la chiesa matrice di S. Foca Martire, costruita sui ruderi del castello del duca dell’Infantado tra il 1794 e il 1806. Dell’antico maniero è riconoscibile solo una delle torri, corrispondente al campanile e all’abside.
All’interno della chiesa, divisa in tre navate, è da ammirare la volta in legno della navata centrale con una tela di autore ignoto raffigurante il martirio di S. Foca Inoltre, un certo valore artistico e plastico hanno il fonte battesimale e gli altari di S. Antonio di Padova, del Crocifisso, dell’Immacolata, della Vergine Addolorata e delle Anime del Purgatorio. Quest’ultimo custodisce un quadro di autore ignoto raffigurante una Pietà, notevole per una veduta di Francavilla anteriore al terremoto del 1783 (foto: intera e particolare). Infine, risulta di grande interesse architettonico la cupola che, sostenuta dai quattro evangelisti in rilievo, domina il presbiterio. Nell’abside semicircolare è l’artistico altare maggiore con la statua di S. Foca Martire, realizzata a Roma nel 1663.
Ad est della chiesa, a poco distanza dall’abitato, si osservano i ruderi, imponenti e maestosi, della chiesa e del convento di S. Francesco dei pp. Riformati.
Infine, raggiunta piazza Guglielmo Marconi, percorrendo varie stradine e scalinate, che seguono andamento irregolare del terreno, si ha la possibilità di visitare la parte antica e medioevale di Francavilla: Pendina. Portali lavorati, maschere apotropaiche, labirinti di scale e vicoli stretti, ruderi di antiche strutture abitative in muratura e tracce d’insediamenti rupestri, caratterizzano questo spazio urbano. In questa cornice architettonicamente varia e interessante s’inserisce la chiesa parrocchiale S. Maria delle Grazie che, ricostruita dopo il terremoto del 1783 a navata unica, conserva un’artistica statua della Vergine, opera dello scultore Vincenzo Scrivo da Serra S. Bruno datata 1794, e un magnifico ciborio in legno intarsiato.
La fondazione di Francavilla risale al X-XI secolo ed è dovuta alla riunificazione dei preesistenti abitati di Cartopoli, Clopani e Santo Foca, casali di Rocca Angitola. Essa s’inserisce in quella rete difensiva voluta dai Normanni e realizzata con la ricostruzione e la fondazione di castelli e città fortificate per il controllo sia del litorale Tirreno e Ionio, sia della regione interna, contro le scorrerie saraceni.
Nel sistema d’incastellamenti, relativamente all’area geografica dell’Angitola, assumevano rilievo ed importanza strategica Rocca Niceforo/Rocca Angitola, Maida e Nicastro; mentre sul lato ionico dell’istmo lamitino rivestivano lo stesso peso militare Catanzaro, Rocca Falluca, Squillace. La schematica rappresentazione del sistema difensivo normanno sulla costa occidentale e orientale consente di avanzare l’ipotesi che il “Castellum” di Francavilla, oltre a coprire una delle antiche vie istmiche, costituisse un punto di raccordo tra i centri fortificati disposti lungo il percorso dell’antica via Popilia e quelli posizionati sul litorale Jonico. “Fortalizio considerevole e popolato”, cioè centro d’importanza militare ed economica, Francavilla è indicato da Ibn Hawqual e Idrisi, cartografi arabi del X e XII secolo. La condizione orografica del luogo, la struttura urbana del paese confermano la natura militare e comunque la funzione difensiva di Francavilla. In proposito è utile la descrizione redatta, nel 1725, da Ilario Tranquillo; infatti, si legge:
“accioché fosse loro luogo di rifugio, e di sicuro ritiro, la fabricaron a foggia di fortezza per difendersi da nuovi assalti de’Saraceni, quindi è, che la circondarono con fortissime mura, tra cui inalzarono sette Torri, l’una è appresso Porta Reale, l’altra che sino al presente conservasi, Torre dello Spirone s’appella, e dell’altre, veggonsi le vestiggia; siccome in alcune parti della Terra, anche oggedì appariscono le vestigia d’una strada coperta, per cui da una torre all’altra, i difensori scorrevano. La munirono di un Castello ben forte, avendo fabricato all’intorno del medesimo due torri, e parimenti lo fortificarono con un ponte grande, […]. La chiusero con quattro Porte, di cui una è nomata Porta Reale, l’altra s’appella Porta di Monacio, dal volgo oggi detta di Monace; vien chiamata l’altra Porta di Basso, che di presente si vede, e per lei, come per Porta Reale, e Monacio s’entra, e finalmente v’è l’altra sotto il Castello nominata Portella; fuori delle mura v’è un Borgo, copioso d’abitatori, il quale è situato all’incontro del prenominato Castello da cui veniva difeso”.
Francavilla, come testimonia l’etimologia del nome, fu un Borgo Franco, cioè una cittadina libera da vincoli di vassallaggio. Non è dato sapere la durata temporale di questo status assai privilegiato. Il Fiore menziona un tal Gentile San Giorgio signore di Francavilla nel 1270. Nel 1309 Roberto d’Angiò assegnò lo Stato di Mileto - comprendente Capistrano, Caridà, Francavilla, Francica, Maierato, Mileto, Montesanto, Pizzo e Rocca Angitola - al conte Roberto Sanseverino, i cui discendenti lo detennero fino al 1501, quando il capitano Consalvo de Cordova ne spogliò Giacomo Sanseverino, che aveva parteggiato per i francesi. Nel 1504 subentrò, fino all’eversione della feudalità decretata dal Murat nel 1807, la famiglia spagnola dei De Silva y Mendoza che, imparentata con i reali di Spagna, prese il titolo di Duca dell’Infantado.
Nel XVI secolo al primo e originario agglomerato urbano di Francavilla, compreso dentro le mura, se ne aggiunse un altro denominato il Borgo: “copioso d’abitatori il quale è situato all’incontro del prenominato castello, da cui veniva difeso”. L’espansione urbana fuori dalle mura, al di là della zona di sicurezza rappresentata dal castello, è dovuta all’incremento demografico registrato nel Cinquecento per effetto delle migliorate condizioni economiche e sociali dell’intera regione. I rilievi dei fuochi (nuclei familiari), elaborati dal governo per motivi fiscali, evidenziano il progressivo aumento della popolazione; infatti, nel 1532 conta 145 fuochi, 171 nel 1545, 178 nel 1561, 190 nel 1595. Nel secolo successivo per effetto della negativa congiuntura economica e i terremoti del 1638 e del 1659 il numero dei fuochi diminuì; infatti, nel 1669 furono registrati appena 81, cioè 324 abitanti, se si considera ogni fuoco formato, in media, da quattro persone. Nel Settecento si registra un’inversione di tendenza. Per l’aumento della popolazione il vescovo di Mileto, Giuseppe Carafa (1756-1786), istituì, nel 1763, una nuova chiesa parrocchiale sotto il titolo di S. Maria delle Grazie. Sulla densità demografica di Francavilla, che contava circa 2000 anime, incise il terribile sisma verificatosi nel febbraio-marzo 1783. Il paese fu raso al suolo dal terremoto del 1783; i danni, secondo la valutazione di Achille Grimaldi, ascesero a 150 mila ducati; le vittime, secondo una cronaca dell’epoca, furono 52. A queste vanno, però, sommate quelle provocate dalle epidemie e carestie scoppiate nel periodo immediatamente successivo al terremoto. La popolazione si ridusse di circa un centinaio di unità, attestandosi nel 1794 a 1800 abitanti. Dopo i momenti di panico e di dolore per la perdita dei propri cari, per la distruzione delle case e dei mezzi di trasformazione dei prodotti agricoli iniziarono i lavori di ricostruzione. La riedificazione del paese fu motivo di una lotta intestina tra i cittadini; infatti, alcuni volevano che la Nuova Francavilla sorgesse nella pianura dello Ziopà - luogo felice per la posizione panoramica e salubre per il clima approvato con decreto reale del 5 luglio 1783 - altri, che consideravano il trasferimento in Ziopà uno sradicamento dalle loro abitudini e tradizioni, spingevano invece per la riedificazione dell’antico paese. La questione fu definita nel 1789 quando la Suprema Giunta di Corrispondenza di Napoli decretò la ricostruzione nell’antico sito. Con l’avvento del nuovo secolo Francavilla registra un trend ascendente, passando dai 1601 abitanti del 1814 ai 2180 del 1821. All’incremento demografico corrispose un significativo sviluppo urbano. Agli antichi quartieri, Pendino e il Borgo, si aggiunse l’urbanizzazione delle aree a nord dell’antico sito con la nascita di due nuovi quartieri: Borgo Nuovo e S. Maria degli Angeli. Conseguentemente il baricentro del paese venne assunto dall’odierna piazza Solari, ruolo che ancora oggi mantiene.
Negli anni successivi le crisi sanitarie, le difficoltà economiche, gli sconvolgimenti sociali provocarono un sensibile regresso demografico, recuperato nel periodo 1849-1856. Nella seconda metà del secolo XIX, l’aumento della popolazione venne vanificato dal flusso emigratorio verso le Americhe; infatti, confrontando i dati del censimento del 1861 con quelli del 1881 si osserva in quest’ultimo una riduzione degli abitanti pari al 19,7%.
Il secolo XVI è interessante per Francavilla non solo per lo sviluppo urbanistico e per l’espansione demografica, ma anche per la fondazione di diversi luoghi pii (conventi, chiese, congregazioni laicali, cappelle) che s’inseriscono in quel clima di rinnovamento culturale e religioso scaturito dal Concilio di Trento. La perdita del terzo volume delle visite di mons. Marco Antonio del Tufo, vescovo di Mileto (1585-1606), impedisce d’indicare con precisione il numero degli enti ecclesiastici presenti alla fine del Cinquecento. Sicuramente prima del XVI secolo esisteva la chiesa matrice di S. Foca Martire, unica parrocchiale fino al 1763. La notizia più remota è del 1310. Nel registro delle decime di quell’anno, infatti, si legge: “Presbiter Basilius cappellanus ecclesiae Sancti Phocae pro seconda decima solvit tarì 11”.
La chiesa di S. Foca ubicata nell’area dell’attuale piazza G. Marconi fu distrutta dal terremoto del 1783. Nel 1794, l’ingegnere Ermenegildo Sintes, allievo di Luigi Vanvitelli, elaborò il progetto di riedificazione della nuova chiesa sui ruderi dell’ex convento dei pp. Domenicani. lI progetto, per i contrasti intervenuti tra la popolazione, non fu realizzato. La chiesa, infatti, fu riedificata, tra il 1797 e il 1806, sui bastioni del castello del duca dell’Infantado, feudatario del luogo. Adattato a una situazione orografica diversa, il progetto originale subì delle modifiche. In particolare la pianta della chiesa fu concepita a croce latina divisa in tre navate piuttosto che a croce greca a navata unica.
Nel Cinquecento esisteva la chiesa di S. Martino della quale non è rimasta alcuna traccia muraria. Solo un breve e occasionale accenno in un documento del 1702, dove si legge: ”loco S. Martino vecchio, limito la detta chiesa, la via pubblica, la vinella che passa dalla tribuna di detta chiesa diruta”. Distrutta, forse dai terremoti che si verificarono nel corso del XVII secolo (1638 e 1659) non venne più riedificata.
Certa è invece l’esistenza della chiesa di S. Pietro Apostolo, ubicata “extra muros oppidi” nei pressi del vecchio calvario a cinque croci. Era dotata di tre altari intitolati rispettivamente a S. Maria delle Grazie, alle Anime del Purgatorio e a S. Maria di Loreto. Distrutta dal terremoto del 1783 non venne più ricostruita, rimangono i ruderi dei muri perimetrali.
Tra il XVI e XVII secolo furono fondate altre quattro chiese delle quali non rimane alcuna testimonianza visibile per gli effetti del terremoto del 1783 e per sopraggiunte esigenze urbanistiche. Solo nella toponomastica cittadina è il ricordo delle chiese di S. Giovanni Battista, sita nel borgo “Magara”, “extra item muros eiusdem oppidi”; di S. Nicola di Bari, ubicata nei pressi del fiume “Pirricchio”; di Santa Sofia, posta nell’area dove è eretta la Croce dei pp. Passionisti, fu fondata nel 1621 da Gennaro di Cairo; infine, la chiesa di S. Maria degli Angeli, ubicata nell’area dell’attuale monumento ai caduti. Ricostruita dopo il terremoto del 1783 e trasformata successivamente in cinema, essa fu demolita nel 1968 dall’amministrazione comunale.
Allo stessa epoca risale la chiesa di S. Maria delle Grazie, sita nel rione medioevale di Pendino ed elevata alla dignità di parrocchiale dal vescovo di Mileto mons. Giuseppe Carafa il 10 marzo 1763. (foto)
Oltre alle numerose chiese a Francavilla erano tre conventi. Il più importante sorgeva a breve distanza dall’abitato nei pressi del bivio per Montesoro. Sotto il titolo di S. Maria della Croce dei pp. Agostiniani fu fondato nel 1502. La chiesa conventuale, dotata di 11 altari, conservava diverse opere d’arte tra cui una statua in marmo della Vergine, realizzata nel 1543 dallo scultore messinese Giovan Battista Mazzolo. La statua attualmente si trova nella chiesa di S. Maria del Carmine di Filadelfia. Il convento, sede di studio e noviziato, era dotato di una ricca biblioteca istituita nel 1728 da p. Fulgenzio Marinari.
Il convento di S. Maria dell’Annunziata dei pp. Domenicani, attuale palazzo Mannacio, fu fondato nel 1545 con breve di Paolo 3 “nell’ultima parte del Borgo […] confinante con la via pubblica”. Ad esso era legata la confraternita del Ss.mo Rosario, i cui statuti furono approvati dal re di Napoli nel 1756, attualmente è estinta.
Nel 1621 ai due conventi già esistenti si aggiunse quello di S. Francesco dei pp. Riformati di cui esistono cospicui ruderi ad est dell’abitato.
I tre conventi furono aboliti nel 1809 da Gioacchino Murat. In seguito al concordato del 1818 il convento di S. Maria della Croce venne ripristinato, nel 1820, ma per le precarie condizioni statico-funzionali dell’edificio i frati furono trasferiti, nel 1821, in Monteleone.
Dal punto di vista religioso Francavilla rappresenta nel panorama regionale una singolare eccezione per il culto di S. Foca Martire agricoltore, invocato in modo particolare contro i morsi di serpenti. Martirizzato probabilmente sotto Diocleziano a Sinope nel Ponto, S. Foca è ricordato in un panegirico di S. Asterio (V secolo d.C). Secondo quest’ultimo Foca era un agricoltore di Sinope, stimato per la sua generosità e ospitalità. Denunciato come cristiano accolse in casa i soldati che lo cercavano per metterlo a morte, ma senza conoscerlo. Dopo averli rifocillati e preparato i dettagli della sua sepoltura si rivelò a essi, pregandoli di compiere la loro missione. Gettato in una fossa piena di serpenti rimase incolume e il suo martirio si consumò poi con la decapitazione. Tale leggenda ha ispirato un canto popolare: A’ Raziuoni, che narra i principali episodi della vita di S. Foca: dalla conversione alle prove di nobiltà d’animo e carità durante il martirio, dal patronato antiofidico al culto in Francavilla. Le diverse “Orazioni” di S. Foca raccolte a Spilinga, Santa Caterina, San Vito, Vibo Valentia, Vallelonga, Nicastro, Santa Domenica di Ricadi, Curinga, riconoscono e assegnano a Francavilla il ruolo di centro cultuale: Beatu cu porria jira a Francavilla ca avi a Santu Foca come abbucatu. (Cfr. : cap. 3 - canti popolari)
S. Foca Martire si festeggia il 5 marzo e la seconda domenica di agosto con la partecipazione di tutto il paese e dei centri vicini. In suo onore devoti e pellegrini preparano e portano in chiesa i taraji, dolci ricoperti di zucchero a forma di serpenti. Intensa è la partecipazione alla novena, composta nel 1757 dall’arciprete Santo Carchedi, e alla processione con la statua del Santo Patrono per le vie principali del paese (cfr.: foto). La statua, “ornata con militar divisa e con la serpe che lecca il sudore che stilla dalla fronte”, venne realizzata nel 1663 a Roma da un ignoto scultore su incarico di p. Sempliciano Cilurso, priore del convento di S. Maria della Croce. (stampe e immagini)
Giulio Accetta, oratore sacro e matematico insigne, nato nel 1690 e morto a Torino nel 1752. Membro dell’accademia degli Apatisti di Firenze, fu nominato nel 1730, professore di matematica presso l’università di Torino. Tra le sue opere si ricorda: Primi elementi della geometria di Euclide e dell’algebra, opera pubblicata nel 1753 dopo la morte dell’autore.
Onofrio Simonetti, medico e filosofo di molto credito, nato nel 1794 e morto a Monteleone (Vibo Valentia) nel 1864. Scrisse la Filosofia di Dante contenuta nella Divina Commedia, Napoli 1845.
Francavilla assunse l’attuale nome, Francavilla Angitola, dopo l’unità d’Italia con decreto del 26 marzo 1863. Lo stemma adottato riproduceva quello seicentesco con qualche modifica: un castello, sormontato da una stella, inquadrato in uno scudo, con il motto: Sola fulgeo stella nitidior.
Nel 1976, il Presidente della Repubblica con decreto del 16 novembre su richiesta dell’amministrazione comunale concesse l’uso dello stemma seicentesco e il gonfalone.
Il Presidente della Repubblica
Vista la domanda con la quale il Sindaco di Francavilla Angitola chiede la concessione di uno stemma e di gonfalone per uso di quel Comune;
visti gli atti riprodotti a corredo della domanda stessa;
visti e RR. DD. 7 giugno 1943, n. 651 e 652;
sulla proposta del presidente del Consiglio dei Ministri;
Decreta:
sono consessi al Comune di Francavilla Angitola in provincia di Catanzaro uno stemma ed un gonfalone descritti come appresso;
STEMMA: d’argento, al castello di rosso, aperto e finestrato del campo, murato di nero, torricellato di un pezzo e merlato alla guelfa. Sulla campagna un mare d’azzurro. Ornamenti esteriori da Comune.
GONFALONE: Drappo troncato d’azzurro e di rosso riccamente ornato di ricami d’argento e caricato dello stemma sopra descritto, con le iscrizione centrata d’argento: Comune di Francavilla Angitola. Le parti di metallo ed i cordoni saranno argentati. L’asta verticale sarà ricoperta di velluto dei colori del drappo, alternati, con bullette argentate poste a spirale. Nella freccia sarà rappresentato lo stemma del Comune e sul gambo inciso il nome. Cravatta e nastri tricolorati dai colori nazionali frangiati d’argento.
Il presidente del Consiglio dei Ministri è incaricato della esecuzione del presente decreto, che sarà registrato alla Corte dei Conti e debitamente trascritto.
Dato a Roma addì 16 novembre 1976
Firmato
Leone
Trascritto nei registri
Dell’Ufficio Araldico Addì 31 gennaio 1977
Reg. anno 1976, pag. n. 103
Reg. to alla Corte dei Conti addì 29 dicembre 1976
Reg. n. 9, presidenza fog. 285
Trascritto nel Registro Araldico
dell’Archivio Centrale dello Stato
Addì 19 gennaio 1977
"24 febbraio 1854, suonate le ore 22,30 e da noi sacerdote Giuseppe Attisani, sottoparroco, essendo compiuta la sacra funzione nell’Oratorio del SS.mo Rosario, perché impedita la chiesa matrice per i danni sofferti dal terremoto della sera del 12 c. m. di febbraio, ritiratoci in sacrestia per svestirci dei sacri paramenti, riuniti con l’accolito Farina e Fabrizio Solari, ci siamo accorti con i medesimi occhi che nel quadro del SS.mo Rosario, posto in sacrestia dirimpetto ov’eravamo, la Vergine, dalla parte dell’ascella destra, era sparsa di un umore come l’avesse spruzzato con un banco d’acqua. Ma perché ivi non eravi dimorato alcuno a far ciò, un poco meravigliati, abbiamo preso un fazzoletto e ci siamo messi ad asciugarla. Come perfettamente abbiamo fatto, di nuovo incomincia a scaturire il medesimo umore, per cui maggiormenti sorpresi, non potendo a che attribuire l’avvenimento e benché nel muro dov’era affisso non poteasi dubitare di umidità, pure si volle dagli astanti distaccare il quadro stesso. Ciò avendo fatto, si è osservato in tutta la parte posteriore asciuttissimo. Indi riposto al luogo medesimo e asciugatolo con un pannolino bianco nuovamente si vide l’umore distillare dalla mano dritta, coprendo la stilla financo la corona del rosario che porge al Santo Patriarca S. Domenico. Il quadro fu asciugato per la terza volta. Abbiamo detto agli astanti nominati, a fra Francesco da Girifalco, minore riformato, e a Federico Bonelli di non fare motto a nessuno di questo avenimento, poiché se la Vergine vorrà che si manifesterà al pubblico potrà replicarlo alla presenza di altre degne persone. Sia di Memoria. Sacerdote Giuseppe Attisani".
"Nel 1803 essendo venuto un giovane ufficiale di milizia di truppa regolare, nipote del padre Nicola Casalinuovo del nostro convento di S.Croce, per vedere suo zio ed avendo inteso, nel venire al centro abitato che vi era la grotta del <<Drago>> ascoltò molti suoi amici ed andò ad ispezionarla, per vedere cosa era. Con lumiera di trappeto, egli ed altri penetrarono in detta grotta per molto cammino. Ritornando dissero di non aver trovato fine. Mossi dalla curiosità, altri fecero una seconda spedizione, con la quale essendo io ragazzo di pochi anni mi introdussi con loro. La grotta era ben larga circa otto o dieci passi ed alta pure dodici o quindici. Ci arrampicavamo come sopra marciapiedi fatti dal cammino dell’acqua che scorrea. Fummo anche per lungo tempo, spazio ma senza osservare fine facemmo ritorno. Una terza spedizione, più penetrante ancora della prima fu fatta. Si disse d’avere trovato fine cioè un stretto ove non si potea passare oltre. Sia di memoria. Sac. Giuseppe Attisani".
La suddetta congregazione antichissima di cui non si conosce l’epoca del suo [sic] origine solo da vecchi libri rilevasi che esiste da circa quattro secoli, ultimi avvenimenti.
Il terremoto dell’8 settembre 1905 e poscia quello del 28 dicembre ha danneggiato la chiesa della suddetta congregazione, che perciò più non potevasi funzionare. In seguito scoppiò la guerra in Libia 1911 e poscia la guerra Europa 1914 onde partecipò l’Italia, così tutti i fratelli fedeli a tale congregazione furono chiamati alle armi per la difesa della patria, così la congregazione veniva quasi abandonata.
Finalmente per grazia di Dio e per la fedeltà e fortezza dei valorosi giovani Italiani la nostra grande patria ha riportato la vittoria contro il secolare nemico ed ognuno tornò all’amata famiglia.
La fede divampava nel cuore di tutti perché la chiesa fosse ricostruita e la congregazione avrebbe preso il suo antico corso, cosa difficile sembrava perché occorreva molte migliaia di lire. Ecco che al finir del 1923 formavasi una commissione delle persone più nobili del paese le quali col concorso di tutta la cittadinanza riuscirono ad accumulare una tale somma che nel 1924 poterono riedificare dalle fondamenta il muro dalla parte est ed a rifare il tetto.
Tutto ciò fu fatto per opera della cittadinanza non volendo a che saper né il governo né l’autorità ecclesiastica. Rimaneva quindi la chiesa accomodata ma così rustica e senza che nessuno curasse per eseguire le solite funzioni.
Allo spuntar del 1 gennaio 1926 nel solito locale dell’oratorio si riunì un bel numero di vecchi fratelli col fermo proposito di riorganizzare di nuovo la congregazione e così nominarono come priore Grillo Pietro fu Santo, 1 assistente Cricenti Foca fu Vito, 2 assistenti De Caria Nicola fu Vincenzo e segretario cassiere De Caria Nicola di Vincenzo, furono questi gli elementi scelti per il buon avvenire della benedetta e santa congregazione.
Questi con sagrificio accettarono la carica e procurarono con tutta la forza per il miglioramento. Ecco dopo pochi mesi, con pochi denari in cassa e l’incoraggiamento del rev.do padre spirituale Caria Giuseppe, stipularono un contratto con i signori Stillitani Carmelo e Francesco scultori per annobilire la chiesa. Nel detto contratto i signori Stillitani mediante un compenso di £ tremila che doveva sborsare la congregazione si obligarono di fare l’incannizzata retinata nell’abside, dove ancora si vedono le tegole, poscia pittarla e deporre in mezzo lo Spirito Santo, risanare l’altare dove era rotto e pittarlo ad olio, situare lo stipite della Vergine, ritoccare la pitturazione di tutta la navata e biancheggiarla, come pure risanare le cornici dive si trovavano rotte. Altro lavoro fu eseguito da Alfonso Simone di Filadelfia, cioè risanare la parangusta perché era rotta, ritoccata la pittura del pergamo ed altro mediante un compenso di £ 300. Costa Santo falegname di Francavilla accomodò tutti i finestroni dell’oratorio e della chiesa, à messo ivi i vetri, un finestrone nuovo ed altro per il compenso di £ 307. Furono fatti i lampieri da servire per la settimana santa da un certo Ventura di Cortale per £ 45, fiori per la bara e stendardo per £ 30. Si ha speso per cera, segrestano, organista ed altro che veniva dal segretario registrato nel conto corrente la somma complessiva di circa £ 600. Così terminava la gestione dei sottoscritti amministratori dell’anno 1926.
Il priore Grillo Pietro, 1 assistente Foca Cricenti, 2 assistente De Caria Nicola, il segretario cassiere Nicola De Caria. Francavilla 31/12/1926.
(archivio parrocchiale, congregazione, registro confratelli 1926)
Da vedere:
Foca Accetta
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