RECENSIONE DI LORENZO
MALTA
Il libro di
Davoli Vincenzo: “Buone notizie e pronta risposta”
Non si può rimanere insensibili ed in
silenzio di fronte all’opera di Vincenzo Davoli perché la sua fatica non è mera
cronaca statica, fine a se stessa, ma è evocativa di storie drammatiche e
personali vissute in un contesto tragico, quale fu quello della I Guerra
Mondiale, vicende amare e dolorose che ancora oggi suscitano nel lettore
sentimenti profondi.
Purtroppo viviamo tempi in cui la
globalizzazione famelica divora (real time) le vicende del presente ed
accompagna ad un punto finale, secondo una logica omologante, quelle del
passato.
In breve tempo si è passati dal
positivismo all’omologazione ed in questo contesto d’incanalamento forzato
degli avvenimenti, secondo una visione monocromatica della storia,
paradossalmente trova senso il processo inverso ossia quello della
localizzazione dei fatti. Tale concetto che può sembrare assurdo si può spiegare
con un esempio: la Grande Guerra in senso generale può considerarsi come un
argomento chiuso essendo stato ampiamente trattato dal punto di vista sociale,
politico, economico e militare. Tale chiusura sposta gli interessi
dall’universale al particolare ed il particolare conduce alle periferie, ai
distretti (ma la storia non è forse la sintesi dei particolari?) che sono
rappresentati da luoghi anche modesti e lontani dal fronte da cui sono partiti i
poveri contadini sradicati dalla loro quotidianità fatta di miseria e di fatica
(anche se ad onore del vero, come si evince pure dall’opera del Davoli, molti
esponenti della borghesia agraria partirono animati da uno spirito di pura
idealità).
Davoli per questo suo sforzo immane merita
da parte dei francavillesi un doppio plauso principalmente per essersi
legato saldamente ed affettuosamente ad
una storia e ad un ambiente non suo il quale però lo ha ben adottato
(ricordiamo che Davoli è francavillese “jure conubii” ) secondariamente
per avere preso caparbiamente a cuore una vicenda triste e drammatica del nostro
recente passato.
Davoli non è (parimenti a chi scrive) uno
storico di professione, ma la sua indagine è metodica e meticolosa; egli non
trascura quelli che sono gli elementi canonici della ricerca storica siano essi
atti,documenti , testi, testimonianze epistolari e racconti orali. Ne viene
fuori un prodotto ineccepibile dal punto di vista del rigore storico ed
esaustivo,compatibilmente con il materiale raccolto,con quello del racconto
(poco o niente è stato tralasciato).
Davoli non rilegge la storia, ma la svela
strappandola all’oblio. E chi è lo storico se non un moderno Icaro che si muove
in un complicato labirinto? Davoli apre delle porte chiuse da cui escono
sensazionali novità come quella di un francavillese caduto sul fronte francese e
ancora più sensazionalmente quella di dieci militi non ricordati dalle lastre
marmoree dei monumenti e perciò mai pubblicamente celebrati .
La storia è ricostruzione ed arricchimento
di interpretazioni che a volte urtano contro convinzioni e schemi cristallizzati
da certe tradizioni radicate ed il processo storico, che non ha tempi
prestabiliti,e che vede muoversi appaiate la giustizia e la nemesi , finisce
quasi sempre per rendere palesi verità nascoste.
Come dicevamo innanzi Davoli ha scelto un
campo difficile dove muoversi perchè la guerra è un argomento crudo, drammatico e la Grande Guerra fu evento
straordinario che rivoluzionò il concetto di guerra, non più combattuta a viso
aperto ma in trincee come topi e con armi infide come i gas che non ti facevano
vedere in faccia il tuo assassino.
La Grande
Guerra fu la prima ad essere documentata e filmata nella sua crudeltà, ma la
novità non fu solo questa; l’altra fu la mobilitazione generale per cui furono
chiamati borghesi,proletari e contadini. Tra le tante opere che meglio l’hanno
raccontata oso collocare quella di Emilio Lussu ”Un anno sull’altopiano”
racconto devastante e realistico che testimonia gli inutili assalti per
posizioni insignificanti o l’impreparazione dei soldati italiani privi di
elmetto e di forbici per tagliare il filo spinato nemico. Celebre è rimasta la
frase “Il nemico è alle spalle” per indicare che i propri generali erano più
dannosi del nemico che stava dinnanzi.
La Grande Guerra
è lo sfondo centrale da cui si dipanano miriadi di storie particolari che sono
quelle dei tanti soldati caduti. Davoli ricostruisce quelle di 16 Francavillesi
, storie uguali e diverse di uomini differenti per estrazione sociale, cultura e
ideali. Tutti figli di una Francavilla che agli inizi del 900 rispecchiava le
condizioni economiche e sociali del Paese; vi era certamente disagio e
sofferenza, ma c’era anche una rilevante vitalità imprenditoriale e culturale
che era appannaggio della borghesia agraria del paese i cui esponenti più
giovani spesso coltivavano ideali di derivazione risorgimentale e non
disdegnavano d’accostarsi alle logge massoniche dei paesi viciniori.
Accanto a questi si ponevano i contadini
analfabeti che agli ideali anteponevano fini più pratici quali la terra, la
famiglia, e, mentre sulle divise dei primi si cucivano i gradi di ufficiali di
complemento, i secondi andavano ad essere macellati nelle prime linee senza
comprendere il perché di quella mattanza.
I primi ebbero inoltre il conforto della
corrispondenza epistolare mentre i secondi morirono in silenzio in modo anonimo
e mai celebrati con odi o sermoni solenni.
Giova qui ricordare le pagine che il
Davoli dedica alla 141 brigata Catanzaro composta per lo più da contadini
calabresi (ad essa apparteneva il caduto Vito Caruso) decimata per le tante
gesta eroiche ed ardimentose, ma poi ricordata per la più grave rivolta
dell’esercito italiano durante la Grande Guerra.
L’opera del Davoli è una sintesi di
elementi la quale consente per alcuni dei suoi protagonisti un’indagine
introspettiva che ne svela tutta la sensibilità, come nel caso del S.T. Domenico
Servelli il quale nutre per la sua amata Tecla La Gamba un sentimento nobile e
puro, forse quello per la patria era paritetico. La morte del suo promesso
porta la donna in uno stato di sconforto e dolore ma ella comprende il
sacrificio del soldato e non impreca contro la guerra ed il suo sfogo
letterario genuino e nello stesso tempo dotto assume in prosa la stessa vis
tragica che sprigiona l’Ode che l’arciprete Foti compone per il Caduto.
Molte altre sono le vicende che commuovono
il lettore come la partenza per l’ America della vedova del soldato Buccinnà
assieme al figlio o la morte dovuta al gas del soldato Condello Antonino.
L’opera del Davoli diventa una pietra miliare nella storiografia del nostro
paese, essa copre una lacuna e consegna alla memoria i nomi e le gesta di
quanti s’immolarono in nome della patria . La funzione della storiografia non è
solo investigativa e celebrativa, ma è anche quella di rinverdire il ricordo
eroico del passato e, quando il tempo sarà volato fino ad affievolirne il
ricordo, l’opera del Davoli sarà un paletto fermo che richiamerà alla memoria
quelle gesta e quegli uomini.
Non è una coincidenza che il testo sia
stato pubblicato nel 90° anno dalla vittoria, ma dobbiamo prendere atto
amaramente che nessun’altra iniziativa, tranne la canonica ricorrenza del 4
novembre ( tra l’altro da anni posticipata perché il 4 non è più festivo) sia
stata presa per celebrare questi martiri ed eroi, ai nostri giorni il folklore e
le manifestazioni sportive attraggono di più del nostro passato.
Quanto sembrano lontani i tempi in cui si
viveva di ricordi e di valori quando gli anziani del paese dei quali ancora oggi
riesco a ricordare nitidamente le figure sedute sulla panchina sotto la lapide
della Chiesa del Rosario quotidianamente raccontavano del Carso, dell’Isonzo ,
di Caporetto e del Piave.
Davoli ci offre oggi l’opportunità di un
dibattito, di una riflessione su una generazione e su un evento straordinario;
ora spetta a noi coglierne l’invito.
So di certo che l’autore,uomo caparbio,
darà seguito all’opera. Caro Vincenzo, la storia è possesso perenne, a presto e
ad meliora .
Lorenzo Malta 14-11-2008