Ma
per tutti esso era un gigantesco rettile con o senza zampe artigliate,
quasi sempre con larghe ali di pipistrello e spesso pure con le ampie
fauci vomitanti fuoco. Alla sua creazione collaborarono, in misura varia a
seconda della località e dei tempi, tre elementi: in primo luogo le ossa
di animali fossili rinvenute in caverne preistoriche, perciò spesso
denominate "grotte del drago": tale è il caso del drago di Klagenfurt, il
cui monumento, eretto colà al principio del Seicento, ebbe per modello un
cranio di rinoceronte velloso dell'era glaciale che fu poi gelosamente
custodito nel locale municipio; in secondo luogo il fantastico
ingigantimento e travisamento di comuni rettili temibili, come il
coccodrillo e il serpente; in terzo luogo l'esistenza, in certe contrade,
di rettili effettivamente abbastanza rispondenti alla tradizionale
immagine del drago o del suo compagno basilisco: tali sono le iguane
sud-americane, i varani d'Africa e d'Asia e, soprattutto, quella curiosa
lucertola dell'Indonesia che, per la presenza di espansioni alari
funzionanti da paracadute, s'ebbe non a torto da Linneo il nome di "Draco
volans"; a quest'ultimo infatti si riferiscono evidentemente le
descrizioni e le illustrazioni cinquecentesche di Girolamo Cardano, di
Konrad von Gesner e di Pierre Belon. Ben più simili ai draghi delle
leggende dovevano essere molti dei colossali rettili che popolavano il
globo nell'era secondaria. Ma era assurdo pensare che qualcuno di essi,
scampato all'estinzione databile a cento milioni di anni fa, fosse servito
da spunto a qualche favola. Era assurdo... fino al 1912. In quell'anno il
professor Owen del giardino botanico di Giava fece una sensazionale
scoperta: indotto appunto dalle strane dicerie degli indigeni di Komodo,
un'isoletta tra Sumbawa e Flores, egli allestì una piccola spedizione e
scoprì, anzi, uccise addirittura uno dei misteriosi "Doeje darat", i
terribili draghi che, a detta degli indiani, vivevano nel fondo della
giungla. La preda si mostrò tutt'altro che inferiore alla leggenda: lungo
sino a quattro metri, con le possenti zampe anteriori più lunghe delle
posteriori, il lucertolone di Komodo aveva, per dimensioni e per
portamento, un aspetto ben degno dei suoi lontani progenitori fossili. Il
drago, sebbene senza ali, non era più un mito. |
"- Questo è il
grazioso drago che hai preso - disse il soldato britannico Giorgio al suo
amico romano Lucio. - Vorrei che fossero tutti come questo! Egli era in
viaggio dal campo romano a Corinium o Cirencester, come lo chiamava nella
propria lingua, per andare incontro all'avventura di uccidere il drago
feroce che atterriva il paese. Parecchi giovani soldati romani e
britannici avevano già tentato l'impresa, ed erano stati uccisi o feriti
dal drago. Così Giorgio aveva ottenuto una settimana di licenza e, prese
le armi e inforcato il grosso e pesante cavallo britannico, s'era messo in
cammino. La sera prima raggiunse la villa di Lucio, un suo amico romano,
che era venuto in Britannia con Giorgio, e si era talmente innamorato del
paese che aveva comprato del terreno e aveva costruito una bella villa sul
modello delle ville romane, e ora coltivava la terra e allevava cavalli.
Lui e Giorgio andarono in giro per i campi e raggiunsero delle piccole
vacche nere che erano una razza speciale da latte. Sdraiato accanto ad
esse, la lingua fuori e gli occhi svegli c'era un bel draghetto. - Si -
disse Lucio - Don è una bellezza. Migliore di qualunque cane. I lupi, le
volpi e i cani selvaggi non mi danno più preoccupazione da quando l'ho
ammaestrato a sorvegliare la mandria. - E' sempre così docile e fidato? -
Si, sempre così! Devi sapere che lo trovai ferito sulla strada. Credo che
sia andato a sbattere contro un carro da guerra, ed aera allora solamente
un cucciolo, aveva un'ala rotta e la zampa anteriore schiacciata. Ma io lo
portai a casa, gli misi a posto l'ala e gli bendai la zampa, e da quel
momento è stato come un bambino. Qui Don! Il drago balzò in piedi e si
avvicinò saltellando al suo padrone. Era alto un metro circa e lungo un
metro e mezzo, con un corpo coperto di scaglie blu che sotto il ventre
sfumavano nel giallo, la coda dentellata, le ali membranose grigio blu
dalla forma molto delicata, quattro grandi zampe piatte, con artigli forti
e bellissimi, e una testa grande e fiera. Aveva piccole orecchie
armoniose, puntate in avanti e foderate di pelo grigio; aveva gli occhi
gialli, lucentissimi e intelligenti; le mascelle lunghe e fornite di denti
enormi. Di tanto in tanto, mentre ansava di piacere ed eccitazione alla
vista del padrone, una sbuffata di fumo saliva dalla sua grande bocca
rossa. Lucio e Giorgio gli grattarono le orecchie e gli diedero dei
colpetti sul collo massiccio. - Non brucia le cose con il fiato come fanno
gli altri draghi - disse Lucio - Un eremita che abita da queste parti e
possiede uno di questi draghi, mi consigliò di dargli da mangiare molta
lattuga, perchè questa diminuisce enormemente il calore del fiato.
Naturalmente non può andare vicino al fienile o ad altri simili posti, ma
può venire in casa, lo fa spesso e non brucia nulla per la stanza. - Ho
sentito che la cosa più terribile del drago che devo combattere è che non
si può stargli vicino per il calore. - Male, male - convenne Lucio - Oh
sono molto diversi come dimensioni, carattere eccetera. A proposito l'hai
sentita l'ultima sul tuo drago? - Ho sentito che la gente deve legare
delle povere vacche fuori del villaggio, la sera, perchè la bestiaccia se
le venga a mangiare la notte, e che deve metter fuori dei secchi di latte.
- Molto peggio. L'ultima è che la gente lega le proprie figlie o dei
parenti vecchi, insomma, tutti quelli che non sono molto utili, e li
lascia divorare dal drago al posto delle vacche che,naturalmente, costano
di più. A meno che la scorta delle vacche non sia terminata. - Deve esser
così certamente! - disse Giorgio alquanto inorridito. - Oh non so. Voi
Britanni siete capaci di tutto. Siete la gente più dura ch'io conosca,
eppure sono stato nella maggior parte dei paesi dell'impero. - Bene, mi sa
che farò bene a pensarci domani - replicò Giorgio. Il giorno dopo, di buon
mattino, egli partì a cavallo del suo grosso baio su per le colline
calcaree. Le allodole saettavano dai loro nidi sopra gli zoccoli del
cavallo, e si libravano cantando nella limpida aria di giugno. Le colline
erano scoperte e nude se non per qualche gruppetto di faggi e di
biancospini, freschi e verdi nel sole mattutino, e ai loro piedi
spuntavano le felci. Il sole risplendeva sull'elmo e sul pettorale di
Giorgio, sull'armatura che gli copriva le gambe, le mani e le braccia,
sullo scudo rotondo e sulla punta di ferro della lancia. La sua spada
romana corta e piatta e il pugnale gli pendevano al fianco nella guaine di
cuoio. In un sacco posato sulla sella, egli portava anche il pane, la
carne, il formaggio e il vino che gli aveva dato Lucio. Mentre cavalcava
udì picchiare degli scalpelli e dei martelli nelle cave di gesso delle
colline, e il vocìo degli uomini per l'aria tranquilla. Il sole era salito
al punto più alto del cielo ed egli si affrettò. Dopo poco raggiunse
l'alta cima dove, nei pressi di un villaggio, viveva il drago. Fin dove
poteva spingersi lo sguardo si scorgevano solo delle ondulazioni perdersi
fino all'orizzonte. Eccetto per alcune capanne grigie, era una delle
regioni più desolate della Britannia, e Giorgio si rese conto del perchè
il drago fosse riuscito a sopravvivere così a lungo. Quei miseri contadini
non dovevano essere nè armati nè abbastanza abili per scontrarsi con una
bestia tanto possente e astuta. Egli arrivò fino a Uffington e fu
accompagnato dal capo del villaggio. - Signore - disse il capo - fareste
meglio a riposare e a rinfrescarvi fino al calar del sole, perchè il
mostro dorme tutto il giorno e non si vede mai fino a sera. Allora esce a
divorare la vittima... L'uomo si interruppe e scoppiò in pianto.
Dall'interno della sua dimora già Giorgio aveva udito pianti e singhiozzi,
e così chiese di cosa si trattava. - Signore, abbiamo tirato a sorte per
sapere chi doveva sacrificare la propria figlia, ed è toccato a me, e
questa sera la mia univa figlia sarà portata dagli anziani del villaggio e
sacrificata al drago. Signore, è la nostra sola figlia, è sempre stata la
nostra gioia e la nostra consolazione. - E si torse le mani, disperato. -
E lo sarà ancora - disse Giorgio, appoggiando la mano sulla spalla del
povero uomo. - Il drago ha avuto la sua ultima vittima... stanotte morirà.
Egli rimase quel pomeriggio nella casa del capo, e vide che il suo cavallo
era premurosamente accudito. Verso il tramonto, gli anziani del villaggio
vennero a prendere la ragazza, e Giorgio le disse di andare pure con loro
e di lasciarsi legare, ma di aver fiducia in lui perchè l'avrebbe salvata.
Poi sellò il cavallo e seguì la compagnia. Non appena la fanciulla fu
legata all'albero sacrificale si sentì sotto terra un rombo sordo. La
gente del villaggio se la diede a gambe e Giorgio vide delle buffate di
fumo uscire da quella che pareva una cava fuori uso. Seguì uno spruzzo di
fuoco, lo strepitio si fece più forte e avanzando pesantemente si presentò
il drago. Era una vista spaventosa: tre o quattro volte più grosso del Don
di Lucio, e con le mascelle che eruttavano continuamente buffi di fumo e
lingue di fuoco. Avanzando, ruggiva e sibilava, agitando la coda potente e
dentellata. Il corpo, benchè grosso, si muoveva molto agilmente sugli
enormi piedi muniti di artigli. Il coraggio di Giorgio per un istante
vacillò. Non aveva immaginato che un mostro potesse essere tanto grosso e
selvaggio. Ma, non potendo ormai far marcia indietro, spinse avanti il
cavallo. Il drago smise di avanzare con ferocia verso la fanciulla, per
attaccarlo. Il cavallo saltò di fianco, spaventato dal fumo e dal fuoco, e
Giorgio dovè spronarlo per affrontare il drago. Egli stesso era mezzo
asfissiato. Prese di mira la bestia con la lancia. Il drago sovrastava
Giorgio in sella al suo cavallo. La lancia lo colpì sulla spalla sotto
l'ala e, con gran smacco di Giorgio, guizzò via come respinta da una
lastra d'acciaio. Il cavallo sgusciò di fianco e così salvò Giorgio dalla
tenaglia delle enormi mascelle. Egli udì lo strepito del loro sbattere
appena dietro di lui e sentì la scottatura, e allora voltò prontamente il
cavallo per tenerlo fra il drago e la fanciulla prigioniera. Questo
combattimento era ben diverso da qualunque altro avesse mai immaginato. Il
fumo che mezzo lo soffocava gli nascondeva il drago, così che egli non
poteva veder bene nè seguirne i movimenti. Era rivestito di scaglie
impenetrabili, e le sole parti vulnerabili del corpo erano, forse, quelle
ventrali, che Giorgio poteva raggiungere solo smontando da cavallo; ma in
questo caso i suoi gesti sarebbero stati troppo lenti per eludere il
mostro. Mentre cercava di architettare un piano, trascinò il drago più
lontano dalla fanciulla, indietreggiando dinanzi ai suoi impetuosi
attacchi. Poi l'assalì, caricandolo più volte, colpendolo in diversi
punti, nel tentativo di trovare quello vulnerabile. Più volte egli sentì
un colpo come se la lancia urtasse contro un corpo corazzato, ma non
penetrò in nessun punto. Aveva il volto e il lato destro scottati, come il
cavallo che inoltre era stato ferito da uno strappo delle fauci del
mostro. La luce stava per spegnersi, ed egli comprese che doveva
affrettarsi. Mentre girava il cavallo, Giorgio si rese conto che c'erano
solo due punti da prender di mira, l'occhio o la gola. L'occhio era un
bersaglio troppo piccolo ed era spesso nascosto dal fumo, così egli decise
per la gola. Il drago, infuriato dai colpi che aveva incassato, e
affiatato com'era, lo assalì ruggendo con le fauci spalancate e sputando
fuoco. Giorgio avanzò arditamente, prendendo giusto di mira il fuoco con
la propria lancia. Ci fu un cozzo e il cavallo cadde all'indietro perchè
la lancia aveva fatto presa e si era infissa nella gola del mostro. Si
alzarono tremende strida della bestia ferita, che si sollevò nel tentativo
di schiacciare Giorgio sotto i piedi. In un balzo, Giorgio scivolò giù dal
cavallo, sfoderò la spada, mirò diritto al fianco del mostro dove
l'affondò nella giuntura fra la gamba anteriore sinistra e il corpo. Il
colpo fu fatale. Il drago era trafitto al cuore. Il sangue corse rovente
giù per i fianchi della collina e scavò nel suolo dei canali che sono
visibili ancor oggi. Le fiamme diminuirono mentre cessavano le
contorsioni, e finalmente la paurosa creatura giacque morta. Giorgio andò
dalla fanciulla, piuttosto male in arnese, ma pieno di contentezza. La
slegò e la riconsegnò al padre, che venne con gli abitanti del villaggio a
benedirlo. Gli offrirono la ragazza in sposa, ma egli ringraziò e rifiutò,
dicendo che era un soldato e non poteva ancora prender moglie. Allora il
capo lo ricevette a casa sua per la notte mentre i villici facevano festa
intorno al corpo del drago che poi venne bruciato. La mattina dopo Giorgio
rimontò a cavallo e rifece il suo viaggio su per le colline per ritornare
al reggimento." |