SFILATA DELLE PACCHIANE -” martedì 12 agosto 2014 . - Grande successo alla sfilata delle pacchiane organizzata del nuovo gruppo “ I STRINARI CU A VIERTULA ” nella serata delle tradizioni per le strade del nostro paese. La manifestazione si e’ concentrata presso l’anfiteatro dei ruderi di Pendino ; il corteo delle donne in costume di pacchiana, partendo dall’ inizio del paese (viale Kennedy) è proseguito verso Pendino . Un momento importante e’ stata la rievocazione della tradizionale consegna della dote con il corredo della sposa trasportato negli antichi contenitori (ceste, cipasturi, ecc.). la manifestazione si è conclusa con canti e balli eseguiti dal gruppo “ I strinari cu a viertula”. Qui di seguito viene pubblicato l'articolo sulla tradizionale "Cunsigna da dota" redatto dalla prof.ssa Ida De Caria in base ai suoi ricordi da bambina ed ai racconti più volte ripetuti dalle antenate della sua famiglia. ‘A CUNSIGNA DA DOTA Ovvero LA CONSEGNA DELLA DOTE
La consegna della dote era un rito che si svolgeva nella settimana che precedeva il giorno delle nozze. In casa della sposa veniva allestita l’esposizione del corredo; tutti i ripiani erano adatti per esibire in bella mostra: lenzuola, cuscini, coperte, asciugamani, tovaglie, strofinacci, camicie, sottane, piatti, bicchieri, pentole e tutto ciò che serviva per arredare e riempire la casa dove gli sposi sarebbero andati ad abitare. La mamma della sposa, dopo aver invitato vicini di casa e parenti, mo-strava alla consuocera quanto di bello e di buono dava in dote alla figlia. La suocera guardava, ammirava, si informava, si complimentava per tutto ciò che era esposto, e talvolta criticava, lamentandosi se mancava qualcosa. Dopo questa prima fase si procedeva a sistemare il tutto nei tiretti del comò e della credenza, prelevati dal mobilio della casa dei futuri sposi; si utilizzavano varie ceste di vimini, ovvero “a cofiniedha”, “u cipasturi”, “a taχarotta”, una o più “casce”, la màdia e quant’altro poteva servire per trasportare la dote, avendo cura di mettere in bella mostra i ricami e i merletti sovente eseguiti dalla stessa sposa o dalla madre. Una volta sistemato tutto per bene si usciva dalla casa della sposa per recarsi alla casa dei futuri sposi portando in testa tutta la dote. Questo compito era affidato esclusivamente alle donne, che si sistemavano sulla testa “na curuna” (strofinaccio piegato e rigirato a mo’ di corona), su cui posavano ogni pezzo della dote; queste portatrici, fiere e altere, aprivano la sfilata. Il corteo, in fila indiana, si snodava per le vie del paese; procedevano avanti le donne con le cose più importanti, per poi scalare man mano con le cose di uso domestico meno importanti sì, ma di grande utilità come: la màdia per fare il pane, la caldaia di rame (una o più di una di varie grandezze), trìpodi, “a grasta ‘e spàndara” ossia un grande contenitore di coccio per il bucato, il braciere, la paletta per il fuoco e quant’altro poteva servire per la vita a due, e quanto la mamma della sposa aveva potuto fare per la propria figlia. Il corteo era allietato dalle grida festose dei ragazzini; dai balconi si lanciavano fiori per augurare abbondanza e felicità, dalle porte uscivano grandi e piccini per guardare e per augurare buona fortuna. Arrivate alla casa che gli sposi avrebbero abitato, amiche e parenti, che avevano portato la dote, sistemavano tutto mentre le consuocere preparavano il letto nuziale con la biancheria più bella. Si offrivano dolci e liquori, prima e dopo la consegna della dote.
NOTE DI COSTUME
Preparare la dote era cosa di grande apprensione per le mamme che avevano figlie femmine. Si cominciava dai primi anni di vita; i mezzi economici sovente erano ristretti e bisognava procedere poco alla volta, e poi anche perché una buona dote avrebbe facilitato “trovare marito”. La mamme, quando avevano qualche soldo risparmiato con il lavoro nei campi, allora diffusissimo, si affrettavano a scendere a Pizzo per comprare“’a pintinella” , ossia matasse di filo di cotone che servivano a preparare l’ordito dei telai da cui si sarebbe realizzato il corredo della sposa: lenzuola, cuscini, tovaglie, camicie e anche coperte. C’erano vari telai a Francavilla; alcune donne sapevano tessere e venivamo chiamate “maistri ‘e tilaru” ovvero maestre tessitrici. Molto belli erano i lavori che riuscivano a fare. Le persone più abbienti realizzavano capi di corredo in lino e in seta; era infatti praticata in alcune terre di Francavilla la coltura della pianta del lino ed era anche diffuso l’allevamento del baco da seta. Ricordo ancora l’impareggiabile spettacolo dei campi azzurri di lino fiorito, sfiorato dalla brezza del vento. Ricordo ancora le grandi scorpacciate di more di gelso, le cui fronde erano il nutrimento dei bachi. Altra nota da ricordare è che non sempre i rapporti tra le consuocere erano idilliaci; sovente c’erano liti per il numero dei capi del corredo o per i pezzi dell’arredo. Non di rado il fidanzamento si scioglieva se la dote non era sufficiente. Grande era l’apprensione della mamma se le figlie erano numerose e i mezzi economici esigui. I ruoli delle consuocere erano distinti: alla mamma dello sposo toccava provvedere all’abito della sposa e alla casa; alla mamma della sposa toccava l’arredo della casa, biancheria e suppellettili, e talvolta, quando era possibile, aggiungere anche una somma di denaro.
Prof.ssa Ida De Caria
FONDAZONE CULTURALE “LE TORRI” Via Le Grazie 55 - FRANCAVILLA ANGITOLA (VV) *** Ricerca di Condello Michele, D.S.G.A. in pensione
LA PACCHIANA A FRANCAVILLA
L’antico costume della donna di Francavilla era molto caratteristico per la policromia degli indumenti e la ricchezza d’ogni capo di vestiario; aveva molto dell’orientale, del rumeno, del gitano, sia per il vestiario sia per i monili al collo, e, alle orecchie. I monili al collo, erano grandi come pure gli orecchini a pendaglio di filigrana, e, a verghette intrecciate. Le donne che lo indossavano erano chiamate “PACCHIANE” Il costume era formato da tanti pezzi: a cammisa, u pannu, a cammicetta, u juppuni, a gunnedhra, u sciadi, u vancali, u vancaliudhru, u faddali, le calze. · Il primo indumento intimo che copriva il corpo della donna, era A CAMMISA, era di lino fine bianco e lungo fino a mezza gamba.Aveva una profonda scollatura tutta ricamata a mano, con le maniche lunghe fino ai polsi. · Dai seni in giù fino alle caviglie e leggermente più in giù U PANNU, poteva essere di colore diverso, ma il più bello era quello rosso di marines o di colore amaranto Era aperto davanti e si chiudeva con due bottoni dalla parte di sopra. Ai bordi si applicavano dei pezzi di merletto lavorati all’uncinetto. Di lunghezza doveva essere più corto della cammisa, perché questa ultima doveva comparire di sotto. · Dai seni al collo A CAMMICETTA detta spinzera, di velluto, di raso rabescato, di seta; era messa dopo U PANNU, il davanti di solito era tutto pieghettato con dell’altra stoffa, mentre dalla parte di dietro era allacciata da un lungo laccio. · Sotto la camicetta, un busto di stoffa, con stecche d’avorio, oppure d’osso, finemente levigate, detto JUPPUNI. · Dai fianchi in giù, A GUNNEDHRA, d’ottima stoffa, color verde pino,turchina o marrone di bosco, era arrotolata intorno alla cintura con un cascante da un lato, in modo da far vedere il panno rosso. Era indossata sopra U PANNU.In alcune circostanze, in genere di lutto, a gunnedra era calata da coprire quasi interamente il panno rosso. Questo pezzo, era anche nero, tutto pieghettato, molto largo, ed era lungo fino quasi ai piedi, per cucirla occorrevano 12 metri di stoffa. · U SCIADI era un capo di vestiario nero di seta o di stoffa leggermente pesante color marrone, (vedovanza o avanzata negli anni) molto lungo e piegato doppiamente, con lunga e ricca frangia, dalla parte delle spalle fino al fondo schiena. Era posato sulla testa. · Infine, U VANCALI, era un pezzo di stoffa lungo due metri, rettangolare. Era posto sulla testa e avvolto intorno al petto. In origine era di stoffa pregiata, e, in genere tessuto in casa, da seta e lino tinto con bucce di melograno (il nero) e anellina o con altri ingredienti colorati trovati nelle campagne, o, da bucce d’altra frutta. · U FADDALI o faddaleja era un grembiule nero, ampio, legato alla vita con una cordicella dello stesso colore. · Le Calze erano lunghe e coprivano tutte le gambe; erano di colori vari: a scacchi turchini e rossi. ª Per quanto riguarda gli abiti femminili,possiamo ripartire la Calabria in quattro zone,due principali del panno scarlatto e dell’abito azzurro;e due secondarie dell’abito nero e dell’abito rosso. La zona del panno scarlatto(rosso vivacissimo), si estende dal versante del tirreno a quello dello Jonio.Salendo da Nocera Torinese e Belvedere a Falerna e Maida,da S,Biase a Nicastro,Francavilla e da Gimigliano a Tiriolo. Distintivo delle donne coniugate,esso si può indossare dal giorno del fidanzamento,da quello delle nozze. La nubile lo usano di altro colore (azzurro,verde,celeste) Le vedove di colore marrone. In questa vasta zona ,che va da un mare all’altro,spicca il nucleo dell’abito nero,e la monotonia della tinta è interrotta solo dal bianco della camicia,del copricapo e delle calzette. Abito rosso Capo Vaticano-Sottana azzurra Reggino. Con l’abito,anche l’acconciatura differisce,da territorio a territorio. La forma comune consiste nel ripartire la massa dei capelli con doppia svinatura,in quattro bande di cui le anteriore appiattite sulle tempi e le orecchie,le altre fatte in trecce che si ravvolgono in cerchi sull’occipite,o si annodano a corona,come un biscione. Il “filandente”altrimenti tuvaghia o duprettu è un bianco e stile lino,che si acconcia ripiegato sul capo,lasciandolo cadere sugli omeri. La chiazzarola portava,un tempo lo spadino nei capelli.
· ricerca di Condello Michele anno 2014
Note: scritti vari e rivista mensile IL PONTE.
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